(foto Ansa)

Il serpente diventa falco

Mattarella e Draghi, ovvero la leadership contro il partito della resa

Giuliano Ferrara

Colpisce la naturalezza del consenso politico costruito intorno a Quirinale e Palazzo Chigi su una linea di semplificazione di ogni complessità e di leale perseveranza sul fronte europeo e atlantico: non sempre è andata così nella storia d'Italia

Quello di Sergio Mattarella e Mario Draghi nella tempesta della guerra è un caso un po’ speciale. Il loro euroatlantismo militante riflesso nel comportamento oggi delle istituzioni italiane, senza sbavature, senza ambiguità, senza sudditanze, ha nel quinquennio aureo (1948-1953) di Alcide De Gasperi il suo vero unico precedente. Per il resto, dal medio oriente all’Iran, e prima dalla crisi di Suez ai missili a Cuba fino al Vietnam, grandi statisti come Fanfani, Andreotti e Craxi furono protagonisti di una politica estera spesso interessante, tecnicamente cinica, esposta talvolta ingiustamente al marchio dell’ambiguità verso le alleanze occidentali che furono all’origine stessa della Repubblica nel secondo Dopoguerra.

 

L’influenza del Vaticano, il peso del Partito comunista, la persistenza sottopelle delle tendenze neutraliste forti nelle tradizioni socialista e cattolica: furono elementi decisivi di una posizione occidentalista, ma sempre con riserva, nell’Italia stretta a tenaglia dagli effetti della guerra fredda. Per intendersi, sono stati creativi e degni di studio storico non fazioso gli anni e le gesta di Fanfani criptopacifista e universalista cattolico ispirato dal realismo nazionale di Enrico Mattei e dal profetismo universalista di Giorgio La Pira; così gli anni di Andreotti segretario di stato della Repubblica vaticana con il suo cinismo sottile, taillerandiano; creativi ed esplosivi gli anni di Craxi garibaldino sospeso tra due mondi ma alla fine fedele alla linea atlantista delle socialdemocrazie europee. E una menzione va anche concessa all’età clintoniana della guerra del Kosovo, con la linea Andreatta-D’Alema che diede il suo contributo bellico agli atti finali e pacificatori delle guerre balcaniche dispiegate contro le ambiguità di Dini e Prodi, nel contraddittorio, scespiriano teatro del maggior Cossiga. 

Colpisce oggi la naturalezza del consenso politico costruito intorno a Quirinale e Palazzo Chigi su una linea di semplificazione di ogni complessità e di leale perseveranza sul fronte europeo e atlantico. Colpiscono la disciplina anche verbale, l’assenza di lusinghe, dérapages, la tenuta degli staff e degli apparati che contano: con il caos ambulante, da circo, del nostro sistema massmediatico, e con il crescente timore indotto dalla combinazione di guerra, sanzioni ed effetti della crisi economica dopo la pandemia, lo spazio per le crepe, per la ricerca di distinzioni e cacce al consenso immediato, demagogico, è enorme, ma a invadere quello spazio è praticamente il solo senatore Salvini, e mal gliene incoglie.

 

L’occasione è obbligante, questo è vero, nessuno prima di Mattarella e Draghi  aveva dovuto affrontare un comportamento espansionista e imperialista tanto minaccioso e diretto; in confronto al mondo e all’Europa come ce li ritroviamo in quest’anno di neoimperialismo russo e di resistenza occidentale, la guerra fredda era un conflitto pieno di sfumature giocate sugli equilibri nucleari e non sulla spinta grossolana e intimidatoria del revanscismo e della volontà di potenza di una guerra convenzionale barbarica (Merkel) e territoriale alle porte della Nato. Tuttavia va annotato: il serpente del bosco si è fatto falco dell’aria, l’ambasciatore Razov tra le foglie trova poco, la metamorfosi nazionale ha dell’inaudito, e mentre molti si perdono dietro al dettaglismo dell’opinionismo e alle ansie naturali che pervadono parte della società italiana, colpisce invece nella tempesta il ruolo senza retropensieri e l’ambizione di protagonismo attivo e non retorico, l’ambizione di leadership di un paese in certo senso irriconoscibile.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.