lo strappo

Disperato e a un passo dal crac elettorale, Conte medita la crisi

Gianluca De Rosa

Ne parlano così tanto che se l’aspettano tutti: i 5 stelle chiederanno, il 21 giugno, di votare una risoluzione in cui il no a ulteriori forniture belliche sarà formalizzato. L'aut aut per portare il Movimento fuori dall'esecutivo 

Anche tra i cinque stelle ormai c’è chi è disposto a giurarci. “Questa volta fa sul serio”. Giuseppe Conte pare sia pronto  a presentare in Parlamento un aut aut per portare il M5s fuori dall’esecutivo. Casus belli? Il prossimo voto sulle armi. Tra i nemici del grillismo, con un pizzico di cinica gioia, n’è convinto anche Matteo Renzi: “Il 21 giugno non prendete impegni. E’ il giorno in cui i grillini tenteranno l’assalto contro Draghi in Senato. Sarà l’inizio di un lungo inverno per Conte & company”. 
La data non è casuale. E’ il giorno in cui il presidente Draghi riferirà alle Camere prima del Consiglio europeo del 23 giugno sull’Ucraina. Nonostante a marzo i grillini abbiano votato a favore all’invio di armi a sostegno di Kyiv, dando al governo una delega in bianco fino al 31 dicembre, Conte chiede lo stop alle forniture militari. Da settimane cerca un modo per parlamentarizzare questa discussione. Per portare il presidente Mario Draghi alle Camere. 


Sin dall’inizio della sua ascesa alla guida del M5s, l’ex avvocato del popolo è ossessionato da una cosa: lo scorrere del tempo. Ogni giorno che passa mangia un pezzettino di quella fiducia che aveva guadagnato nei giorni del lockdown. Ma negli ultimi mesi alla preoccupazione esterna si è aggiunta quella interna: con il consenso in picchiata qualcuno potrebbe chiedergli un passo indietro. Un timore che guarda alla Farnesina, alla scrivania di Luigi Di Maio. Certo serve un pretesto. Una circostanza che trasformi in realtà gli incubi di caduta. Ebbene eccola. Il 12 giugno si vota per le amministrative in diversi comuni italiani. Da alcuni giorni l’ex premier ha iniziato il suo tour nelle città principali. Ieri è stato a Verona, Padova, Sesto San Giovanni e Crema. Oggi sarà a Piacenza, Alessandria e Asti. In 18 capoluoghi su 26 il M5s sostiene i candidati del Pd, in alcuni di questi, a partire dalla simbolica Parma, ma anche a Verona, non ha neppure una lista. Ieri lo ammetteva lo stesso Conte: “Alcune volte andiamo con nostre liste, altre non ci sentiamo di fare una proposta se non abbiamo maturato quel minimo di base di consenso ampio per poter essere forti e coerenti”.  Alla preoccupazione elettorale si aggiunge che qualche giorno prima delle amministrative, il 7 giugno, il Tribunale di Napoli deciderà sul nuovo ricorso dell’agguerritissimo avvocato Lorenzo Borrè. Insomma, Conte si potrebbe ritrovare davanti a due disastri: uno giudiziario – che ancora una volta lo scalzerebbe formalmente dalla guida del M5s – l’altro politico: l’irrilevanza certificata dai numeri. 


Tutte carte che permetterebbero agli avversari interni di chiedergli un passo indietro. Per questo è il momento di osare. All-in. Si rilancia. Sarà un attacco frontale governo e alla sua linea di politica estera, quella a cui lavora anche Luigi Di Maio. All’esecutivo chiederà di seguirlo su qualcosa di veramente improbabile: un cambio di linea totale dell’Italia sulla guerra in Ucraina. Andiamo con ordine. 
Nelle ultime settimana Conte nemico delle armi, quelle vere, ha lastricato di mine politiche la strada tra Palazzo Chigi e le Camere. Le armi, il termovalorizzatore di Roma, ieri il decreto Scuola. Cose su cui fa intendere: “Non cederemo mai”.
L’argomento più forte, e per la verità anche il primo nelle agende parlamentari, è quello del conflitto ucraino. Prima del vertice europeo, davanti a Draghi, i 5 stelle chiederanno di votare una risoluzione in cui il no a ulteriori forniture belliche sarà formalizzato. Potrebbe esserci persino la pretesa di un’equidistanza del nostro paese sulle parti in conflitto. Che passi è impossibile. Anche l’asse Guerini-Amendola, gli atlantisti del Pd al governo, sanno bene che Di Maio e i parlamentari a lui più vicini non seguiranno l’ex premier. Per il Movimento potrebbe essere una scissione di fatto.  La viceministro allo Sviluppo economico Alessandra Todde parlando ieri all’Adnkronos provava a ridimensionare: “Pretendere rispetto per le proprie posizioni non significa voler uscire dal governo”.


Sull’Ucraina come Conte la pensa Salvini. Per questo il sostegno che l’ex presidente potrebbe non trovare dentro il suo Movimento potrebbe finire col pescarlo in casa Lega. Per adesso dentro al Carroccio ci ridono su: “Ma figuriamoci”, eppure sull’Ucraina Conte e Salvini hanno ritrovato l’intesa di un tempo. Si vedrà fino a che punto. Ieri intanto sull’improbabile visita a Mosca del segretario leghista Conte chiosava bonario: “Ha i suoi desideri”.

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