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Anche sui balneari lo schema dei leader che lisciano il pelo alla bestia populista è del tutto chiaro

Le lettere al direttore del 26 maggio 2022

Al direttore - Alla fine, mi pare di capire, che anche sui balneari i populismi hanno votato leggi che dicevano di non voler votare. A parole ribelli, con i fatti per fortuna responsabili. Non mi pare così male come schema.
Luca Martelli

 

Lo schema di Salvini e Conte, ormai, per parlare dei  leader che più degli altri lisciano il pelo alla bestia populista, mi sembra chiaro. Per provare a coltivare un’identità alternativa rispetto a quella incarnata dal governo si creano spesso e volentieri nemici invisibili, si descrivono questi nemici come se  fossero desiderosi di toglierci un pezzo della nostra libertà, si scaricano su questi nemici invisibili tutte le frustrazioni accumulate nell’attività di governo, si presenta agli elettori una minaccia che non esiste e in virtù di questa minaccia che non esiste ci si pone come gli unici difensori di quella libertà violata e che nessuno in realtà voleva violare. Il ragionamento vale per i balneari, la cui riforma era evidentemente solo un pretesto da parte della destra per bloccare le pur timide liberalizzazioni previste dal disegno di legge varato a novembre, ma vale anche per tutta la chiacchiera surreale fatta dalla destra sul tema dell’Europa desiderosa di mettere le mani nelle nostre tasche per farci pagare più tasse sulle nostre case (da nessuna parte le raccomandazioni del 2022 dell’Ue chiedono all’Italia di reintrodurre la tassa sulla prima casa).

Quanto ai balneari, alla fine la riforma un risultato interessante lo ha ottenuto, alla voce compensazioni. Il problema era questo: se un balneare perde la gara e perde la spiaggia che accade del bar sul quale aveva investito 20 anni fa? I balneari volevano essere compensati come se quel bar fosse nuovo e regolare, il governo dice che non si può tener conto del fatto che il valore accumulato in questi anni si sia andato a formare in un regime di normative europee violate. Quanto valutare le compensazioni lo si deciderà con un decreto legislativo. 

 


 

Al direttore - Caro Cerasa, oggi la facoltà di Giurisprudenza della Sapienza celebra Franco Romani nel ventennale della sua scomparsa. Lo ricorderanno, insieme al sottoscritto, Giuliano Amato, Carlo Cottarelli, Marco D’Alberti, Elena Granaglia, Lorenzo Infantino, Eduardo Paz Ferreira e George Priest. Romani, economista e pensatore liberale, fu uno degli artefici della legge Antitrust italiana e dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato del cui primo Collegio fece parte. Infatti alla fine degli anni Ottanta presiedette la commissione per lo studio dei problemi della concorrenza insediata dall’allora ministro dell’Industria Valerio Zanone. Romani chiamò a far parte della commissione la meglio gioventù accademica di allora: Libonati, Cassese, Padoa-Schioppa, Monti, Ferro-Luzzi, Pera e altri importanti giuristi ed economisti.

La profonda conoscenza del diritto Antitrust americano e dell’approccio di law & economics che Romani aveva acquisito nel corso dei suoi lunghi soggiorni a Yale, si confrontò con le solide radici che l’Antitrust europea aveva sviluppato grazie alle norme a tutela della concorrenza inserite nei trattati di Roma fin dal 1957. Il progetto di legge che scaturì dai lavori della commissione ebbe un iter parlamentare caratterizzato da accese discussioni ma fu votato nell’ottobre del 1990 all’unanimità. Romani lasciò l’insegnamento di Politica economica presso la facoltà di Giurisprudenza per fondare l’Autorità antitrust italiana. La sua carriera accademica era iniziata con la laurea in Giurisprudenza a Pavia col prof. Parravicini. Arrivò presto a Roma come ricercatore e assistente di Cesare Cosciani e, nel 1968, divenne ordinario di Scienza delle finanze. Il suo primo incarico fu a Siena alla fine degli anni Sessanta, dove divenne il primo preside della facoltà di Scienze economiche e bancarie. A metà degli anni Settanta tornò a Roma per insegnare Politica economica.

E’ stato un insegnante e un intellettuale di straordinario e raffinato eclettismo, un uomo di letture sterminate e complesse, con uno stupefacente talento nell’individuare buoni autori e selezionare argomenti promettenti in diverse discipline che, se sopravvivevano al metodo rigoroso di congetture e confutazioni, entravano a far parte del suo personale patrimonio culturale. In questo senso, nonostante fosse amatissimo dagli studenti, si era sempre sentito un po’ stretto nel ruolo di economista accademico, per non parlare di quello di scienziato delle finanze, che ha interpretato guardando indietro, agli scienziati sociali italiani che, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, avevano avuto modo di fornire un contributo ampio e interdisciplinare al dibattito culturale del tempo. I suoi scritti mantengono nel tempo la loro incredibile originalità e freschezza, restituendo il suo modo e il suo metodo di ragionare e far ragionare l’interlocutore, offrendo con semplicità e generosità la sua genialità al dibattito, distillando cultura con leggerezza e senza supponenza. Come ogni grande Maestro destinato a essere ricordato nel tempo.
Guido Stazzi