La visita in America

Draghi cerca la pace ma quella di Zelensky: "La Russia non è invicibile. Non è più Golia"

Carmelo Caruso

Il premier racconta il suo colloquio con Biden. Il timore per una crisi alimentare e umanitaria, la difficile intesa per calmierare il prezzo del petrolio e gas. "E’ Zelensky che deve definire cosa è vittoria, non noi"

Ai pacifisti ha “dato” la pace, agli atlantisti l’Atlantico, agli europeisti l’Europa e all’Italia un po’ di credibilità perduta. Il giorno dopo l’incontro con il presidente americano Joe Biden, Mario Draghi ha raccontato i contenuti del suo colloquio alla Casa Bianca. Gli argomenti: la necessità di costruire una pace duratura per l’Ucraina, l’angoscia per una crisi alimentare e umanitaria, l’urgenza, condivisa, di fissare un tetto al prezzo di gas e petrolio. Ai giornalisti ha infatti spiegato che la guerra sta cambiando fisionomia. La Russia? “La parte che sembrava invincibile non c’è più. Non c’è più un Golia”. La vittoria? “E’ Zelensky che deve definire cosa è vittoria, non noi”. Biden? “Mi ha risposto che l’Europa può contare sul suo sostegno”.


Esiste dunque anche questo tipo di italiano. E’ l’italiano che non è sbruffone e che non è servile. Non è speciale. E’ solo affidabile.  E’ l’italiano che non fa le corna e che non risponde “orright, orright”. Esiste insomma l’uomo di governo che non va a farsi ricevere alla Casa Bianca per dire: “Entrambe le nostre amministrazioni sono amministrazioni del cambiamento”.

 

Alle 17, ora italiana, Draghi si è presentato alla nostra ambasciata, per rispondere ai giornalisti e ha fatto della parola “pace” qualcosa di tormentato anziché  la granita dei politici accaldati. Attenzione, non è il sandwich che addenta Matteo Salvini. Piero Calamandrei la paragonava infatti a una “finestra”, la fessura da cui si “riesce a intravedere, laggiù quando il cielo non è nuvoloso, qualcosa che potrebbe essere gli Stati Uniti dell’Europa e del Mondo” Era come se, attraverso la maieutica, anche Draghi volesse arrivare alla soluzione di questa indagine. Si chiedeva cosa “bisogna fare per costruire il percorso di negoziazione” e aggiungeva: “Non bisogna cercare di vincere. E poi, cosa significa vincere?”.

 

Addirittura si interrogava su quella duratura perché “si deve togliere il sospetto che si arrivi a una pace imposta che fa comodo a noi, agli Usa” altrimenti, continuava, “sarebbe la ricetta per il disastro e verrebbe tradita in ogni momento”. Si comprendeva, quando parlava, che con Biden ha avuto una conversazione ma tra alleati che “non sono qui per giudicarsi ma solo per capire come si può andare avanti”.

 

Era la politica della “equi-amicizia”. Cosa unisce Draghi e Biden? Rispondeva Draghi: “Siamo entrambi insoddisfatti per i prezzi di petrolio e gas, per il funzionamento del mercato e le distorsioni”. Draghi ha tenuto fuori le piccole smancerie che gli ha rivolto il presidente americano e solo per questo gli si dovrebbe dire “grazie”. Sono le mossette, le carezzze alla Molière: “Mi congratulo con te. Per quello che hai fatto sul fronte della diversificazione energetica. E’ più di quello che sarei riuscito a fare io!”. Un altro avrebbe quanto meno esordito con “buongiorno, Biden ha detto che io ho fatto più di lui”.

 

Con la stessa onestà ha riconosciuto che esiste in Europa una “zona grigia” per quanto riguarda il pagamento del gas russo in rubli. Chi lo dice che non è possibile dichiarare, come ha fatto il premier, che l’America resta “alleato indispensabile” e che però “le visioni tra Europa e America  stanno cambiando e dobbiamo parlarne”?

 

Con Biden non si è parlato dell’invio di ulteriori truppe italiane. Ieri i “veteroatlantistidistampofideistico” erano inconsolabili. Negli stessi minuti, Giuseppe Conte, diceva a Porta a Porta, la sua Ankara, che “sarebbe irrituale se Draghi non venisse in Parlamento (andrà il 19 maggio) e che lui “non ha fatto pace con Draghi. Assolutamente no!”.

 

E’ in difficoltà contro un elemento nuovissimo. E’ la serietà che, come scriveva il poeta Camillo Sbarbaro, permette all’uomo saldo di non replicare: “A fiuto mi astenni da ascoltarlo; per delicatezza; per impedirmi di poterne dire male”.
 

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  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio