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L'intervista

Centrodestra modello Genova: concretezza e orizzonte ampio. Parla il sindaco Bucci

Giampiero Timossi

“Ho proposto a tutti di lavorare insieme per alzare l’asticella, nell’interesse della città. L’ho detto anche al Pd, a tutti esclusi i 5 stellle, loro no, perché se vuoi solo disfare non puoi lavorare con chi ha voglia di fare”, dice il sindaco della città ligure

Il sindaco calamita crede nella “performance”, sa stare al suo posto, ringrazia il premier Draghi, ne sottolinea la credibilità, guarda con interesse al modello canadese di Trudeau e chiarisce un paio di cose, iniziando dal 25 aprile. Marco Bucci, 62 anni, è il sindaco di Genova da cinque anni, la prima volta era un outsider: un candidato civico, sostenuto con vigore dalla coalizione di centrodestra. Oggi pare avere pochi rivali, allarga orizzonti e alleanze, guarda ai prossimi cinque anni, ma sembra anche buttare un occhio alle sue spalle, alla politica prima dello sfascio populista e grillino. Spiega: “Ho proposto a tutti di lavorare insieme per alzare l’asticella, nell’interesse della città. L’ho detto anche al Pd, a tutti esclusi i 5 stelle, loro no, perché se vuoi solo disfare non puoi lavorare con chi ha voglia di fare”. Così nell’eccezione genovese il centrodestra non solo appare compatto, ma può contare anche sui riformisti di Italia Viva. Viste le premesse può apparire una diminutio, ma era complicato pensare che al progetto aderisse anche il Pd.

Per il resto ci sono tutti, “un’overdose d’amore” canterebbe Zucchero.  Però Bucci ha altri gusti musicali: “Gaber è tra i miei preferiti, già venticinque anni fa ascoltavo quella sua canzone Cos’è la destra? Cos’è la sinistra? E riflettevo”. Pare però chiaro che per lui destra-sinistra non esistano più. Descrive la ricetta del suo successo con pudore, “lo decideranno gli elettori”. Poi ribadisce le linee del suo progetto: “Primo, una visione di città che ci ha permesso di crescere e non di gestire tristemente il declino; secondo, la credibilità di chi fa le cose; terzo, la squadra che deve rispondere solo a criteri di competenza e disponibilità”. Come nelle aziende.

Questo è il programma del partito-calamita, ma se chiedi al sindaco di vedere al di là del suo mandato amministrativo lui si ferma: “Mai pensato a qualcosa di diverso dal mio impegno per Genova”. Fortemente convinto della sua candidatura civica, l’impegno politico del giovane Bucci nasce negli scout e nell’associazionismo cattolico, cresce nel mondo del lavoro, “perché se hai ricevuto tanto credo sia doveroso restituire quanto è possibile alla società”.

 

Ammette di aver votato per il governatore Giovanni Toti anche nel 2016, quando non era ancora sindaco poi spiega che quando votava dagli Stati Uniti dove lavorava non “riusciva a rendere efficace la votazione” il che dovrebbe significare che ci mise lo zampino la burocrazia, piatto anche per lui sempre indigesto. Dialogante, ruvido all’occorrenza, immune dalle beghe di partito, il sindaco ribadisce l’unità della sua coalizione, anche nel centrodestra, malgrado Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia non invitino più ai vertici il governatore Toti, “sono solo dinamiche della politica, è naturale che ogni partito cerchi di avere i propri spazi, ma sulla visione e sugli obiettivi siamo assolutamente compatti”. Compatti nel nome di Bucci, tanto che il segretario leghista Matteo Salvini ha tolto dal simbolo elettorale il proprio nome, lasciando solo quello del sindaco, “un gesto sicuramente apprezzabile”. Di Mario Draghi, il sindaco ricorda la “credibilità, anche a livello internazionale”, elemento chiave nell’idea di politica che ha Bucci. Che subito frena: “Un sindaco non può  giudicare un premier, lo devo ringraziare per i 6 miliardi che con il Pnrr ha messo a disposizione dei genovesi. Sono soldi che non potrebbero essere gestiti dalla stessa sinistra, gente che ha fatto il buco di San Martino, un cantiere davanti all’ospedale che hanno tenuto aperto vent’anni”.

 

Per chiudere con un affondo: “Tutti cercano il consenso, a noi piace ottenerlo facendo le cose. E non mi piacciono le bugie. Dicono che devo essere chiaro sulla Resistenza e sono chiarissimo, se avessi vissuto in quegli anni sarei andato a combattere in montagna con i partigiani del comandante Gastaldi. Non facciamo nulla per il sociale? I fondi messi a disposizione con noi sono saliti a 65 milioni, contro i 43 delle amministrazioni precedenti. E se vinceremo anche stavolta non finiremo solo quanto iniziato, perché un secondo mandato avrà bisogno di una rigenerazione, per non cadere nella routine”. È la politica del candidato calamita.

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