(foto di Ansa)

Salvini perde pezzi

Non solo Roma. Così FdI ha conquistato anche i leghisti del Veneto

Francesco Gottardi

Sindaci, assessori. Perfino i militanti di vecchia data rompono col Carroccio: “Leadership incoerente, elettorato confuso. E l’autonomia quando?”. FdI li accoglie e gongola: “Nessuna rivalità interna. Ma qui i nomi che contano sono solo Zaia e Meloni”

In origine fu Federico Sboarina, sindaco di Verona. “Ma no, lui non è mai stato leghista”. Poi Giovanni Battista Mestriner, punto di riferimento del centrodestra nel Veneziano. “Travaso fisiologico”. Seguono primi cittadini e assessori a Spresiano, San Polo di Piave, Arcade: tutti comuni in provincia di Treviso. “Tutti casi isolati”. Sarà. Eppure è una musica già sentita: Fratelli d’Italia che soffia amministratori al Carroccio. Uno dopo l’altro. Nel Lazio vabbè, la storia dice Msi e la bolla salviniana s’è dissolta. Ma il Veneto no, dai. Terra di Liga, feste dei popoli padani. E invece. “Nessun esodo, nessuna campagna acquisti”, convergono a parole i due partiti. Poi l’establishment verde ammette: “Paghiamo una fase di smarrimento nei temi a noi più cari”. E Luca De Carlo, coordinatore regionale di FdI, rilancia: “Capisco che alla Lega roda. Però ormai qui la gente si identifica in due figure politiche: Zaia e Meloni”. Solo non si vede Matteo Salvini.

    

È un lento ma inesorabile passaggio di consegne. Alle regionali del 2015 la Lega in Veneto conquistò il 17,82 per cento dei consensi – cinque punti sotto la Lista Zaia –, Fratelli d’Italia il 2,6. Nel 2020 il Carroccio ancora il 16,92 – ventisette punti sotto la Lista Zaia –, i meloniani quasi il 10. Ma per la prima volta davanti a tutti in svariate località nel Veronese e nel Trevigiano, fino alle dolomiti. “E stiamo continuando a crescere”, la soddisfazione del senatore De Carlo al Foglio. “Presenti in ogni Consiglio provinciale, in ogni capoluogo. Non siamo più la Cenerentola della coalizione: se a livello nazionale passiamo dal 4 al 22 per cento in quattro anni, è naturale che anche una parte di amministratori locali si riconosca in questo cambio”. Una parte, sì. “Poi c’è il ritorno all’ovile di tanti nostalgici di An, che un tempo confluirono nella Lega”. E poi? “La coerenza. Se i nostri alleati governano con Pd e M5S, chi fa politica se ne accorge: grazie a dio c’è Fratelli d’Italia a tenere unito il centrodestra”. Sovranismo atlantista, a fronte delle ambiguità filo-Putin in area verde. “Anche questo lascia il segno. Ma a noi non interessa il conto interno: il nemico è sempre il centrosinistra. Agli amici della Lega consiglio di vederla così”.

  

Già, gli amici. Il commissario regionale Alberto Stefani non ha voluto commentare la vicenda. Altri esprimono rammarico, “per aver perso dei paladini di tante buone battaglie”, spiega Fulvio Pettenà, veterano del Consiglio provinciale di Treviso. Lì si sono verificati “i principali cambi di casacca, ma non parlerei di esodo”. Lui stesso aveva rischiato di lasciare il Carroccio, negli ultimi mesi: “C’era bisogno di scuotere i vertici, alla fine i venti di espulsione si sono risolti in una semplice raccomandata di preavviso. Certo c’è un elettorato disorientato da tutelare. FdI in Veneto farà ottimi risultati alle urne, ma non ha classe dirigente. E la storia insegna che passare dall’altra parte non paga mai”.

 

Evidentemente c’è chi non la pensa così. Domenico ‘Nico’ Presti è siciliano di nascita “ma Veneto d’adozione, da 42 anni”. Da 17 militava nella Lega, “per due volte sindaco di Arcade: Zaia fu l’unico a darmi la benedizione, mica facile per un terrone vincere qui”. Oggi continua da assessore nella piccola località a due passi dal Piave, “ma fresco d’iscrizione a FdI. Dopo nove mesi di riflessione, senza più tessere di partito”. Motivo? “Non ho nulla da dire contro i leghisti, con cui ho ancora ottimi rapporti. Ma la linea intrapresa da Salvini non mi piaceva più: ha detto tutto e il contrario di tutto. Giorgia invece tira dritto. Ha un’idea e non la rinnega. La politica si fa per strada, non nei palazzi: e nei bar, nelle chiese, i veneti chiedono di Meloni. Fondano circoli dove non c’era nulla”. Come dice De Carlo, “si preparano a un cambio epocale”. Anche perché, di nuovo Presti, “stiamo freschi, se aspettiamo la Lega per fare l’autonomia”.

   

Giovedì alla Camera è stato tracciato il primo passo di una riforma costituzionale con lo scopo di garantire alla capitale i poteri legislativi di una regione. Insomma, l’autonomia. Votata anche dalla Lega, anche dal commissario Stefani. E allora lo sdegno dei Serenissimi è fin troppo facile: Roma sì e il Veneto no? “Voglio pensare positivo”, il trevigiano Pettenà stiracchia un sorriso. “Mi auguro che questo sia materiale di baratto. Che l’autonomia capitolina avvicini quella del Veneto”. Altrimenti? “Altrimenti è grossa da digerire: si fa presto poi a tornare all’antimeridionalismo”. E ai tempi della coerenza. Dio Po, Roma ladrona. Mica Meloni.

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