(foto di Ansa)

magistrati alla sbarra

Perché non reggono le obiezioni del Csm alla riforma della giustizia

Giacinto della Cananea

I magistrati faticano ad accettare che qualcuno li giudichi. Perchè le valutazioni fatte dagli avvocati non sono un problema

In ogni democrazia liberale, il miglioramento dell’offerta di giustizia e un più armonico rapporto tra l’indipendenza della magistratura e la sua accountability sono obiettivi da perseguire. In Italia, essi sono vieppiù importanti, in ragione delle antiche tare che si riscontrano nell’amministrazione della giustizia e della persistente ritrosia d’una parte della magistratura ad accettare un’obiettiva valutazione dei propri membri. Ne costituisce un’eloquente dimostrazione il parere formulato nei giorni scorsi dal Csm sugli emendamenti apportati dal governo al disegno di legge sulla riforma dell’ordinamento giudiziario.

 

L’intento del governo era duplice: migliorare la trasparenza e l’efficacia e permettere a tutti i componenti del consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari – quindi anche agli avvocati – di partecipare alle valutazioni di professionalità dei magistrati. Si tratta d’una riforma limitata rispetto alla proposta referendaria che la Corte costituzionale ha recentemente giudicato ammissibile nella sentenza n. 59/2022, perché quest’ultima comporta che partecipino alle valutazioni anche i professori universitari che fanno parte dei consigli giudiziari.

 

Tuttavia, per il Csm nemmeno questa previsione è condivisibile per due motivi: perché la circostanza che l’avvocato continui a svolgere l’attività forense nello stesso distretto del magistrato “può tradursi in un fattore incidente sul sereno svolgimento delle funzioni giudiziarie”; perché i componenti laici del Csm non possono esercitare la professione legale durante il mandato. Nessuna di queste obiezioni regge – però – a un’accurata disamina: non la prima, perché le valutazioni sulla professionalità dei magistrati verrebbero espresse non dal singolo avvocato, bensì in modo unitario, nel caso in cui il consiglio dell’ordine abbia effettuato delle segnalazioni su un magistrato; non la seconda, che è viziata da un’indebita equiparazione tra il fare parte di uno specifico consiglio giudiziario e del Csm, il cui ambito di competenza riguarda l’intera magistratura. E’ evidente l’estrema debolezza dell’assunto su cui il parere del Csm si fonda, cioè che solo i magistrati possono valutare i propri colleghi.

 

L’esistenza, anziché di una sola, di due o più professionalità assicura dialettica nella valutazione, permette un più obiettivo riscontro dell’adeguatezza delle azioni e delle inazioni dei singoli magistrati. Inoltre, consentire agli avvocati di partecipare a tali valutazioni serve a evitare la sovrapposizione tra controllati e controllori. Non a caso, attualmente gli esiti delle valutazioni effettuate sono pressoché sempre positivi. Il luogo comune coltivato dal Csm, secondo cui qualsiasi giudizio esterno metterebbe a rischio il buon esercizio delle funzioni giudiziarie, è quindi smentito. L’auspicio è che il governo e il Parlamento proseguano, con determinazione, sulla via della riforma della giustizia di cui l’Italia ha bisogno. 

Di più su questi argomenti: