Salvini resta tra Putin e Le Pen. E nella Lega scatta la psicosi: "I servizi segreti ci spiano"

Valerio Valentini

Il capo del Carroccio prepara il comizio finale con la rivale di Macron in vista del ballottaggio. Ma dopo le parole di Draghi e Gabrielli al Copasir, i parlamentari vanno in agitazione: "Stiamo con la Russia o contro?". La preoccupazione di Giorgetti sulla permanenza al governo, i sospetti sull'ambasciata ucraina

Più che annullato, rinviato. E non per volere di Matteo Salvini, per un sussulto di resipiscenza atlantica. A congelare il viaggio in Francia del leader della Lega, a quanto pare, è stata invece Marine Le Pen. La quale, col passaggio al secondo turno delle presidenziali acquisito, sta preparando un comizio con tutti i suoi alleati europei, attuali o futuribili, tra cui anche Viktor Orban. Ed è lì, in vista del ballottaggio, che forse anche Salvini varcherà le Alpi. Per un evento ad alto tasso di filoputinismo, evidentemente. E forse è anche per questo che, sia tra i deputati sia tra gli europarlamentari, lo spaesamento è totale. E anche la paranoia. E sì che a vederla con gli occhi di Giancarlo Giorgetti, la faccenda sarebbe abbastanza semplice, da capire: “Era scontato che la guerra avrebbe spinto Mario Draghi a rafforzare il profilo atlantista del governo”. E infatti quando martedì mattina erano usciti da Palazzo San Macuto, i leghisti Paolo Arrigoni e Raffaele Volpi avevano recepito con chiarezza l’avviso ai naviganti lanciato dal premier durante la sua prima audizione davanti al Copasir. Al che, quando un paio d’ore dopo hanno letto le dichiarazioni di Lorenzo Fontana che criticava l’espulsione dei trenta diplomatici russi, sono trasaliti.  

Il tutto mentre, molti chilometri più a nord di Roma, gli europarlamentari del Carroccio riuniti in assemblea chiedevano lumi sulla linea da tenere: “Non siamo né carne né pesce, sulla Russia continuiamo a balbettare, a contraddirci”. Lamentele che i capi delegazione, Marco Zanni e Marco Campomenosi, respingevano con l’aria di chi non sa, ma s’adegua: “Matteo non vuole rogne, qui a Bruxelles”.

E però per capire che la vaghezza non valga a risolvere le tensioni interne, basta affacciarsi a Montecitorio. “I diplomatici espulsi?”, sorride sotto i baffi Antonio Zennaro, leghista abruzzese che per due anni è stato al Copasir.  “Non sempre i diplomatici sono solo diplomatici”, sibila. “E di certo non lo erano quelli che il governo ha espulso”, conferma a voce alta Matteo Bianchi. E del resto la giornata inizia con un Riccardo Molinari che davanti alle telecamere di La7 confuta in pieno le tesi di Fontana e Salvini (“Se la Farnesina li ha espulsi avrà avuto le sue buone ragioni”) per poi respingere in modo netto le critiche di chi, tra i suoi colleghi, gli fa notare lo sgarbo al leader: “Se vado in tv, ci vado per dire come la penso”, spiega il capogruppo alla sua truppa. Che nel frattempo si ritrova pure a interrogarsi sui messaggi in bottiglia che una veterana come Barbara Saltamartini, molto vicina al colonnello Nicola Molteni, lancia su Facebook. “Quando viene meno la Comunità, quel sentire comune di appartenenza a un progetto (...) tutto crolla”, scrive la deputata in un post che viene subito rilanciato nelle chat interne, prima che lei stessa decida di cancellarlo. 

Ma non è un liberi tutti. E’ piuttosto il segnale di una paranoia diffusa nella truppa. Dove le parole del capo dell’intelligence di Palazzo Chigi, Franco Gabrielli, quel suo “se avete rapporti con Cina e Russia noi lo veniamo a sapere” scandito davanti ai membri del Copasir, risuonano con l’eco di una “mezza minaccia”. E appaiono i fantasmi, allora: si diffondono pettegolezzi su  dossier costruiti dai servizi segreti pronti a infangare parlamentari leghisti, si accreditano tesi per cui i quotidiani che attaccano la Lega ricevono “pizzini” dall’Ambasciata ucraina. “Il problema è essere chiari sulle premesse, e dire che Putin ha compiuto una follia”, spiega Dario Galli, ex viceministro nel Conte I. “Dopodiché, ci sta il richiamo alla tutela dei nostri interessi economici. Ma senza quelle premesse si finisce col legittimare tutti i sospetti, pure quelli più assurdi”. Ma chissà se sul palco della Le Pen, accanto ai leader che ammiccano al Cremlino e scommettono sulla disgregazione europea, basterebbe  essere chiari nelle premesse.
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.