Roberto Speranza e Mario Draghi (Ansa)

il caso

La notte del Milleproroghe. Così la maggioranza Draghi traballa

Valerio Valentini

Il governo va sotto quattro volte. Leghisti e dem arrivano quasi alle mani. La Meloni gongola: "Se questi sono alleati...". Speranza cede agli animalisti e viene battuto. Giorgetti isolato. "Sembrano gli ultimi mesi di Monti", dice chi faceva parte di quell'esecutivo

Alla fine, la previsione più fosca, quando già albeggiava su piazza Montecitorio, se l’è lasciata sfuggire un ex ministro di Mario Monti. “Mi sembra di essere tornati lì, agli ultimi mesi di quel governo, quando tutti i partiti facevano quello che volevano”. E del resto, la notte era stata tribolata assai. A un certo punto, Ubaldo Pagano, deputato pugliese del Pd, e Igor Iezzi, soldato fedele di Matteo Salvini, sono arrivati a un passo dal venire alle mani, coi commessi costretta intervenire per sedare la zuffa e il meloniano Paolo Trancassini che se la rideva di gusto: “E menomale che state in maggioranza insieme, eh”. E non era ancora l’una di notte. La grande baruffa del mille proroghe, da sempre terreno perfetto per imboscate e blitz da attuare “col favore delle tenebre”, doveva ancora iniziare. 

 

L’innesco c’è stato sui Giochi del Mediterraneo. Un emendamento voluto dal Pd per finanziare la manifestazione è stato intercettato dal Carroccio: “Ma allora perché non si danno dei fondi anche alle Olimpiadi di Milano e Cortina del 2026?”. Irrisolta questione settentrionale. “Non erano questi gli accordi”, tuonano i leghisti. Che, dopo aver ottenuto l’accantonamento del comma, per rappresaglia decidono di stoppare anche un’altra proposta del Pd, stavolta avanzata da Walter Verini, che introduceva dei permessi speciali per alcuni tipi di detenuti. Ed è qui che parte il rodeo nelle due commissioni chiamate a discutere, la Bilancio e la Affari Costituzionali, con andirivieni di ministri, sottosegretari e capicorrente vari.

 

Emanuele Fiano, deputato dem che sa essere vulcanico, si ritrova a inveire addosso col forzista Roberto Pella, che ovviamente ricambia, per una delle molte questioni sospese sul sostegno del governo ai piccoli comuni. Il tutto, con le due relatrici di maggioranza, la grillina Daniela Torto e la leghista Simona Bordonali, che continuano a dividersi e a bisticciare, a esprimere insomma pareri discordanti sui medesimi articoli. 

 

Il primo inciampo arriva sul tetto al contante. FdI chiede di spostare al 2023 l’introduzione del limite a mille euro per i pagamenti cash introdotto dal governo. Che, per voce della sottosegretaria all’Economia Laura Castelli, del M5s, dà parere contrario: “Il tetto resti a mille euro”. Si vota una prima volta, e l’assalto della destra sembra respinto. Ma i meloniani chiedono di ripetere la conta, stavolta con chiamata nominale. Il presidente della commissione Affari costituzionali, il grillino Giuseppe Brescia, oppone resistenza, poi cede. E il responso è clamoroso: l’emendamento di FdI, sostenuto anche da Lega e Forza Italia, e cespugli del Misto, passa per un solo voto. È l’apertura della crepa. 

 

Che diventa una falla poco dopo, quando in discussione arriva un emendamento a prima firma Fausto Raciti, giovane turco del Pd, per favorire la sperimentazione animale a fini medici. L’accordo col ministero della Salute, dopo una mediazione che aveva portato a una riscrittura più prudente del testo, era che il governo si rimettesse all’Aula: che insomma non desse pareri. E invece a notte inoltrata Federico D’Incà, ministro grillino per i Rapporti col Parlamento, fa sapere che Roberto Speranza ha cambiato idea. Le pressioni degli animalisti, le escandescenze della capogruppo di Leu al Senato, Loredana De Petris, da sempre sensibile su questi temi, l’imbarazzo del partito: insomma, il governo dice no. E allora Raciti prende la parola e fa il suo intervento, difende la misura, riceve applausi trasversali. E insomma l’esito della votazione diventa scontato: il governo va sotto di nuovo, e in modo netto.

 

Tocca poi a Giancarlo Giorgetti, vivere il suo quarto d’ora di passione. Sull’emendamento che vorrebbe dirottare 575 milioni stanziati per i commissari di Ilva al finanziamento delle bonifiche dell’acciaieria. “È una norma di buonsenso”, s’era speso il ministro dello Sviluppo economico. E anche Francesco Boccia, deputato pugliese del Pd e uno dei vertici del Nazareno, prova a trovare una mediazione a favore dell’intesa. Ma il M5s non ne vuole sapere. Mario Turco, vice di Giuseppe Conte, tarantino orgoglioso, dice che no, “non esiste che i soldi stanziati per i tarantini vadano a foraggiare lo stabilimento”. I grillini s’impuntano, s’irrigidiscono pure i leghisti, il Pd si sfila e l’accordo salta. Solo Lega e FdI difendono la misura, e il governo ruzzola. Come accadrà poi anche sulle graduatorie scolastiche. 

 

L’unica nota positiva, di conciliazione trasversale. Perché poco prima delle tre di notte, l’emendamento che introduce il bonus psicologico, fortemente voluto dal deputato dem Filippo Sensi, raccoglie un favore pressoché unanime. Ci sarà ancora tempo per le ultime schermaglie. Un’ora più tardi, di fronte alla persistenza dei capricci leghisti, Fabio Melilli, presidente pd della commissione Bilancio, allarga le braccia: “Ma sono le quattro del mattino, veramente dobbiamo rimetterci a discutere?”. “E’ proprio perché sono le quattro del mattino, che dobbiamo discutere”, gli ribatte Iezzi. Ma sono le scaramucce finali. Quel che resta della notte del Milleproroghe è ormai evidente: una maggioranza sfilacciata, un rapporto sempre più logoro tra Palazzo Chigi e il Parlamento. E la previsione di chi certe scene ha l’impressione di averle già viste: “E’ come sul finire del governo Monti”. Sipario.

Di più su questi argomenti:
  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.