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La Camera fa la òla al bispresidente Mattarella: con lui non si vota

Salvatore Merlo

Fra tutte le rappresentazioni simboliche, la cosa forse più rappresentativa è l’Aula di Montecitorio che si trasforma in una curva da stadio

Rintocchi di campane a Montecitorio, frecce tricolori, paramenti, commessi in alta uniforme, picchetti, cordoni, tappeti rossi, movimenti, sciabole, ordini gridati e  sbattimento di tacchi. Ma fra tutte le rappresentazioni simboliche che il Parlamento e lo stato tributano a Sergio Mattarella nel giorno del suo giuramento alla Camera dei deputati, ecco che la cosa forse più rappresentativa e forse più simbolica diventa l’Aula di Montecitorio che si trasforma in una curva da stadio. Ma foderata di legno. Deputati, senatori e rappresentanti delle regioni, quasi fanno la òla al presidente della Repubblica che intanto tiene un discorso enciclopedico, onnicomprensivo, lungo ventitré minuti e con un passaggio carezzevole dedicato a ciascuna delle diverse  posizioni politiche rappresentate in Parlamento.

Le morti sul lavoro e Monica Vitti, il Csm da riformare e le riforme dei meccanismi parlamentari, un elogio a Draghi salvatore e una stoccata a Draghi che fa troppi decreti, e poi l’integrazione che piace alla sinistra ma anche la guerra agli scafisti che piace alla destra e infine l’Europa come la vuole Enrico Letta ma pure  l’allarme per i “poteri economici sovranazionali” che invece fa annuire Giorgia Meloni. E infatti si alzano da destra dell’emiciclo, e parte una specie di òla. Poi si alzano da sinistra, e ne parte un’altra. “Un discorso da  sette anni al Quirinale”, dice il senatore Ceccanti, in Transatlantico, mentre alle sue spalle passa un deputato del Pd. “Un discorso da ‘almeno’ sette anni”, precisa quello. Ironico.

Si spellano le mani, i parlamentari. Si alzano in piedi per applaudire. Tanto che Matteo Renzi si avvicina a Giovanni Donzelli, dirigente tra i migliori di Fratelli d’Italia. “Hai rotto le scatole”, gli dice, ridendo. “Ti alzi continuamente in piedi, e dobbiamo venirti tutti dietro... Mi fa male la schiena”. Applausi, dunque. Ma diversi da quelli per Giorgio Napolitano, alla rielezione del 2013. Quelli erano l’ultima tassa pagata all’inganno e all’ipocrisia. Questa invece è gioia purissima. Mista a sollievo. Mattarella è il centro geometrico della serenità e della simpatia collettive: la stabilità, la sicurezza, la durata della legislatura.  I parlamentari guardano il gran vegliardo, lo omaggiano, e ogni suo capello bianco diventa quasi ai loro occhi un codice Iban, una coordinata bancaria. La garanzia di sopravvivenza, per un altro anno ancora.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.