(foto LaPresse)

Per chi suona la campana di Mattarella

Claudio Cerasa

Sberle sulla giustizia (finalmente) e nuovi orizzonti europeisti (la Lega applaude). Un buon bis

Nulla cambia per cambiare tutto. Se si sceglie di andare direttamente alla ciccia, il discorso di insediamento (bis) di Sergio Mattarella presenta tre elementi di interesse che ci permettono di concentrarci con facilità su quelli che sono i messaggi più importanti veicolati ieri in Parlamento dal riconfermato presidente della Repubblica. Il primo messaggio è un messaggio in codice che ci consente di inquadrare bene il senso del mandato del capo dello stato. Nel 2013, Giorgio Napolitano, quando venne rieletto, lasciò intendere che il suo bis sarebbe stato legato al percorso delle riforme costituzionali. Ieri, Mattarella ha scelto invece di non legare il mandato al percorso delle riforme e nel farlo ha trasferito ai parlamentari festanti che lo hanno applaudito cinquantacinque volte un bigliettino chiaro: il mio mandato non è fatto per essere interrotto ma per essere onorato fino all’ultimo giorno.

 

Il secondo messaggio, che rappresenta un elemento per così dire di discontinuità rispetto al Mattarella 1, riguarda la giustizia. E su questo fronte gli schiaffi mollati dal capo dello stato sono diversi, sono importanti e sono più chiari rispetto a quelli molto timidi mollati nel primo discorso di insediamento del capo dello stato (e anche nel suo settennato). Nel febbraio del 2015, durante il suo primo discorso, Mattarella dedicò pochi secondi al tema della giustizia (ventitré parole, per un totale di 176 battute) nascondendosi dietro a una frase piuttosto neutrale: “Dobbiamo incoraggiare l’azione determinata della magistratura e delle forze dell’ordine che, spesso a rischio della vita, si battono per contrastare la criminalità organizzata”. Sette anni dopo, Mattarella ha scelto invece di dedicare alla giustizia addirittura un decimo del suo discorso di insediamento (231 parole, 1.900 battute su 20 mila battute totali) e lo ha fatto mosso da una consapevolezza maturata con chiarezza: un paese che vuole combattere fino in fondo i populismi, smussando per quanto possibile gli angoli degli estremismi che indeboliscono la nostra democrazia, non può dimenticare di fare tutto ciò che è necessario  per combattere un populismo che gli antipopulisti spesso dimenticano di mettere nel mirino: quello giudiziario.

 

E così Mattarella, che ha l’occasione di offrire un bis alla guida del Csm migliore rispetto al primo giro, dice che la magistratura è chiamata “ad assicurare che il processo riformatore si realizzi, facendo recuperare appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia, allineandola agli standard europei”. Dice che “i cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’ordine giudiziario”. Dice che gli italiani “non devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la doverosa certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone”. Dice che “indipendenza e autonomia sono princìpi preziosi e basilari della Costituzione ma che il loro presidio risiede nella coscienza dei cittadini” e che “questo sentimento è fortemente indebolito e va ritrovato con urgenza”. Mattarella lo dice giustamente sommerso dagli applausi, applausi che arrivano ovviamente della stessa classe dirigente che per anni ha fatto tutto il possibile per trasformare l’Italia in una Repubblica democratica fondata più sulle procure che sul lavoro. Ma gli applausi forse più interessanti registrati ieri in Parlamento sono quelli raccolti dal capo dello stato tra i banchi della Lega anche quando il presidente ha parlato del futuro dell’Europa. “Rafforzare l’Italia – ha detto Mattarella – significa anche metterla in grado di orientare il processo per rilanciare l’Europa, affinché questa divenga più efficiente e giusta, rendendo stabile e strutturale la svolta che è stata compiuta nei giorni più impegnativi della pandemia”. Cedere un po’ di sovranità all’Europa, è il senso del ragionamento, non significa perdere sovranità ma significa creare un’Europa capace di difendere meglio il nostro interesse nazionale, e vedere la Lega battere le mani al Mattarella europeista, dodici mesi dopo aver fatto lo stesso dando la fiducia a Draghi, è uno spettacolo per cui valeva la pena di pagare il prezzo del biglietto. E’ il metodo anti Gattopardo: nulla cambia per provare a cambiare tutto.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.