Pierpaolo Sileri ospite di Porta a Porta (LaPresse) 

l'intervista

I dati, la gestione del virus, il futuro. Parla il sottosegretario alla Salute Sileri

Marianna Rizzini

Il Cts invita a mantenere il bollettino quotidiano. "Il punto centrale non è la periodicità dei dati, ma la loro qualità e la corretta comunicazione". Il passaggio a una gestione “endemica” della pandemia, il green pass e i vaccini, che servono a ridurre "il rischio di sviluppare malattia grave e quindi ospedalizzazioni e decessi"

Convivere con il virus, adeguare gli strumenti della lotta o continuare a trattarlo con quelli di oggi? In questi giorni si è discusso molto dei dati, tanto che alcune Regioni hanno chiesto al governo di far diventare settimanale il bollettino quotidiano. E da più parti, sui territori, si vorrebbe alleggerire l’isolamento per gli asintomatici, come avviene in altri paesi. Ieri però il Cts ha invitato a mantenere il bollettino quotidiano. Il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri trova che “il punto centrale” non sia “la periodicità dei dati, piuttosto la loro qualità e la corretta comunicazione che deve accompagnarli per spiegarli ai cittadini. La verità – ma parlo anche da ricercatore costantemente “affamato” di dati – è che ne servirebbero ancora più e più dettagliati, così che ci aiutino a capire meglio l’andamento della pandemia e soprattutto a evitare di generare ansia. Il solo dato grezzo di casi e decessi, infatti, non può essere più considerato un indicatore esaustivo: serve, ad esempio, distinguere i casi sintomatici da quelli asintomatici per evidenziare la differenza fra caso positivo all’infezione e paziente effettivamente malato, avere più informazioni sui ricoveri, sulla durata delle degenze, distinguere quanti sono i pazienti non vaccinati tra coloro che necessitano di terapia intensiva e così via. Trasparenza e fruibilità più totale dei dati non devono mai venire meno”.

    

Ci sono però paesi (Stati Uniti, Spagna) che sembrano andare nella direzione di una gestione “endemica” della pandemia. “Sarà il virus a dettare i tempi del passaggio da pandemia a endemia, come già sta facendo con il diffondersi di Omicron”, dice Sileri: “Omicron ha un indice di contagiosità molto più elevato della variante precedente, la Delta, ma verosimilmente un’aggressività molto minore. Questo ci fa essere ottimisti e sperare che il peggio sia alle nostre spalle, ma vedrei il discorso della corsa al tampone come un elemento distinto. In questo caso infatti – torno sul tema della corretta informazione – è fondamentale che il tampone venga effettuato secondo effettiva necessità, nella tempistica adeguata, seguendo soprattutto le indicazioni che il medico curante sa e può dare al paziente. Non è opportuno, infatti, correre a fare un tampone appena si scopre di essere contatti stretti di un positivo, meglio aspettare almeno tre giorni”.

    

C’è anche, e ancora, molta confusione sui vaccini. “Forse”, dice Sileri, “non siamo riusciti a far capire fin dall’inizio che il vaccino non avrebbe bloccato il diffondersi dell’infezione, bensì il rischio di sviluppare malattia grave e quindi ospedalizzazioni e decessi. A questo punto però non credo che riusciremo mai a convincere chi pensa che i vaccini siano un veleno, contengano dei microchip, modifichino il Dna o altre scempiaggini. A tutti gli altri, ai dubbiosi e a chi ha ragionevolmente dei timori, dico di guardare i dati sulle terapie intensive: ancora oggi, con circa il 90 per cento della popolazione vaccinata, i due terzi degli occupanti delle terapie intensive fanno parte del 10 per cento degli italiani non vaccinati, e la loro età media è di circa dieci anni più bassa dei ricoverati vaccinati. A chi ancora esita o aspetta direi che la variante Omicron appare sì meno cattiva di Delta, ma per chi non è vaccinato il rischio è ancora consistente: uno studio sudafricano pubblicato pochi giorni fa ha stimato che la minore virulenza ‘intrinseca’ di questa nuova variante è del 25 per cento circa rispetto a Delta. Il resto lo fanno la vaccinazione e le infezioni pregresse”.

   

Londra intanto ha deciso di abolire il green pass. “Il pass introdotto dal governo inglese prima di Natale riguardava soltanto discoteche e grandi eventi, quindi è difficilmente paragonabile a quello in vigore in Italia e in altri paesi europei che hanno seguito l’esempio italiano. Non giudico le scelte del governo inglese, ma sinceramente non condivido l’opinione di chi ritiene il Regno Unito un esempio da seguire nella gestione della pandemia. La scelta del governo italiano è stata quella di spingere il più possibile la vaccinazione, col green pass rafforzato e l’obbligo vaccinale per alcune categorie di popolazione e per gli over 50, in modo da trovare un equilibrio tra le ragioni della salute e quelle della società e dell’economia. Ieri Anthony Fauci si è congratulato con l’Italia per la campagna vaccinale e poche settimane fa anche Angela Merkel ha speso parole lusinghiere: forse allora così male non abbiamo fatto”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.