Giuseppe Conte (foto LaPresse)

addio partito leggero

Politburo grillino. Mentre gli altri si snelliscono il M5s crea una squadra di 90 membri

Luca Roberto

Altro che movimento liquido delle origini. Col nuovo corso di Conte i Cinque stelle sembrano un partito sovietico, con una struttura pletorica composta da ottantacinque delegati e 5 vicesegretari

Il salto definitivo sembrano averlo compiuto con questo inusuale gigantismo. Che a un tratto fa sembrare i Cinque stelle l’ultimo politburo d’Europa, un avanzo di novecento. Quasi un monolite, un mezzo cimelio di Bulgaria. Addio quindi movimento liquido, benvenuta segreteria allargata e infarcita di correnti. Che tutti accontenta per quote e ambizioni di parte. Dev’essere stata questa la ratio che a Giuseppe Conte, nel disegnare il M5s del futuro, ha portato a volgere lo sguardo al passato: allestendo tutta una pletorica serie di mini settori di competenza per segnare un nuovo radicamento dopo anni di gassosità impalpabile. Così oltre alla segreteria di suoi vicesegretari già annunciata tempo addietro, che annovera Michele Gubitosa, Riccardo Ricciardi, Paola Taverna, Alessandra Todde e Mario Turco, tutti parlamentari e fedelissimi, l’ex presidente del Consiglio ha pensato bene di dotarsi di diciassette comitati tematici, che spaziano dalla Salute alla Transizione ecologica alle Politiche giovanili fino ai Rapporti internazionali. Contando ottantacinque rappresentanti (cinque per ogni area d’interesse). 

Ma è solo passandone al setaccio la composizione che si capisce il nocciolo dell’operazione, passata pure da un voto sulla piattaforma SkyVote (sono pur sempre quelli della democrazia diretta). Settantaquattro dei referenti sono parlamentari della Repubblica, eletti tra il 2013 e la grande infornata del 2018. C’è tutta la batteria di sottosegretari come Pierpaolo Sileri, Barbara Floridia, Manlio Di Stefano, Laura Castelli, Carlo Sibilia, Anna Macina e Rossella Accoto, ex ministri come Lucia Azzolina (non a caso all’Istruzione), Nunzia Catalfo e Alfonso Bonafede (ma non alla Giustizia: dirottato sui Rapporti territoriali). E ancora deputati e senatori volti noti quali Francesco D’Uva, Giuseppe Brescia, Giulia Sarti e Gianluca Perilli. Ma non solo: tra gli undici che non sono stati pescati tra Montecitorio, Palazzo Madama e i vari dicasteri, spiccano i nomi di Chiara Appendino, ex sindaca  di Torino, Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente del Parlamento europeo, e Roberta Lombardi, assessore alla Transizione ecologica del Lazio nella giunta Zingaretti: in pratica i big del Movimento. Manca solo l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi. 

Una frammentazione capillare molto diversa dall’epoca Di Maio, distante neppure due anni, dei facilitatori: ve ne erano dodici nazionali più un massimo di cinque per regione e vi si scelsero, al preciso scopo di far “crescere una classe dirigente”, tutte personalità schive alla ribalta nazionale.  Per un paragone di merito, basta dare una scorsa all’organigramma delle altre forze politiche: si scopre che laddove è sempre più invisa la pratica di snellire, accentrare le deleghe, il M5s si diverte a opporre i mille rivoli di una schiera infinita di eletti. Guardate al caso del Pd: Enrico Letta ha due vicesegretari. La segreteria è composta da quindici persone, sei delle quali non hanno alcuna carica elettiva in contemporanea (Cecilia D’Elia è appena stata candidata dai dem alle suppletive per il collegio di Roma). La Lega, il partito più vecchio dell’arco costituzionale, è disarticolata in 29 dipartimenti, in cui vengono dislocati non solo onorevoli e senatori ma anche amministratori e militanti, in tre posizioni strategiche come l’Università, la Sanità e gli Enti locali. Forza Italia ha un numero leggermente inferiore di rappresentanti per area di competenza (ventotto), e anche qui alcuni incarichi sono assegnati ad amministratori locali come l’assessore allo Sviluppo della Liguria Giancarlo Vinacci e la vicesindaca di Pisa Raffaella Bonsangue. Solo Fratelli d’Italia fa peggio: arrivando a quota cinquanta dipartimenti con una buona presenza di parlamentari.

Conte ha giocato col bilancino, andando alla ricerca del cemento che compattasse gruppi sempre sull’orlo dell’implosione: l’ha trovato nel Cencelli del nuovo millennio, il proquota post Rousseau. Ma far sentire valorizzato ognuno dei novanta tra comitati e segreteria non sarà facile. Se n’è avuta una prova sabato scorso, quando è stata organizzata la prima riunione col nuovo assetto su Zoom (in presenza avrebbe richiesto una location da congresso, il Lingotto dei grillini): quattro ore paludate al termine delle quali si auscultava un umore stracco generalizzato. Uno degli effetti del nuovo corso contiano è sembrar vecchio ancor prima di essere nato.

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