il retroscena

Stretto tra Draghi e Le Pen. Salvini ora medita di disertare il summit sovranista a Varsavia

Valerio Valentini

Prima il grnade annuncio: "Il 3 e 4 dicembre andremo in Polonia a definire i nuovi equilibri europei". Poi il ripensamento: "non ho ancora deciso se andare". Le manovre di Giorgetti alla corte dei popolari tedeschi. L'ostruzionismo della Meloni. Così ora il capo della Lega a Bruxelles rischia di restare in mezzo al guado

Tentenna, rimugina, prende tempo. Sembrava tutto deciso, l’ora delle decisioni irrevocabili già scoccata. A Varsavia, a Varsavia! E invece ecco che Matteo Salvini ora sembra averci ripensato. La conferenza organizzata dal PiS polacco, il grande evento d’inizio dicembre che avrebbe dovuto segnare un nuovo inizio nelle strategie della Lega a Bruxelles, ora nei pensieri del capo del Carroccio inizia a essere un cruccio, anziché una grande occasione: e dunque sta pensando perfino di disertarla. 

Una scelta definitiva ancora non è stata presa. Ma è proprio questo che allarma i suoi parlamentari europei. Salvini intanto guarda il calendario, conta i giorni che mancano al  3 e 4 dicembre, e sfoglia la margherita. Andare? Non andare? “Pensiamoci ancora un attimo”, ha ripetuto ai suoi collaboratori due giorni fa. Lo ha detto anche a quel Lorenzo Fontana, responsabile Esteri della Lega e gran tessitore di trame sovraniste a Bruxelles, il quale poi s’è ritrovato a doversi stringere nelle spalle di fronte ai colleghi che sono andati da lui a chiedere lumi. “Dovete chiedere a Matteo, se andrà”. 

E sì che l’annuncio era stato dato con tutta la solennità del caso. Era l’inizio di novembre. Erano i giorni tribolati in cui Salvini si vedeva umiliato dalle dichiarazioni di Giancarlo Giorgetti che lo paragonava a Bud Spencer e lo esortava  a entrare nei Popolari, e lui ribatteva allora che “entro dove cazzo voglio, altroché nel Ppe”. Di lì la contromossa. Il videocollegamento col premier polacco Mateusz Morawiecki, poi la lieta notizia: “Sono stato invitato a Varsavia per discutere dei nuovi equilibri europei”. L’intervista rilasciata al Corriere da Marine Le Pen, altra grande ospite annunciata della conferenza, di lì a qualche giorno avrebbe lasciato intendere che il momento era propizio. Tutti a Varsavia per ridefinire ruoli e destini della galassia sovranista, per offrire, nella stretta tra il capo del carroccio e quello del Rassemblement national, il contraltare dell’abbraccio tra Mario Draghi ed Emmanuel Macron.

E forse in effetti proprio qui sta il problema. Proprio dal timore di imboccare la strada opposta a quella seguita dal premier a cui Salvini continua a rinnovare fiducia e gradimento, e di farlo nei giorni della firma del trattato del Quirinale,  nascono le raccomandazioni alla cautela ai responsabili del dipartimento Lega nel mondo, ancora in attesa di un segnale che non arriva per procedere all’organizzazione logistica dell’evento. E mentre l’Amleto padano si consuma nel dubbio, tutto intorno a lui sembra scoraggiarlo. Non solo rinnovato afflato europeista legato alla visita di Macron in Italia, ma anche l’entusiasmo comunitario di un Giorgetti che tre giorni fa, durante un convegno organizzato dal centro italo-tedesco di Villa Vigoni, ha spiegato che “il comune obiettivo di Roma e Berlino è ora rafforzare e completare il percorso di integrazione europea”. E dunque davvero lo si vorrebbe rafforzare andando a omaggiare Orbán e soci in quel di Varsavia?

Non che Giorgetti si metterebbe di traverso ufficialmente, sia chiaro. E anzi dopo l’ultimo consiglio federale, quello in cui si è costituito colpevole di lesa maestà prima ancora di essere processato dai colonnelli salviniani, lui si è anzi ritirato in sdegnoso isolamento. “Facciano pure”, sbuffa. E’ in sciopero. E ai pontieri che vanno a proporgli di accompagnare Salvini in un tour  europeo per accreditarlo presso le varie cancellerie, lui risponde che sì, si potrebbe, ma prima di partire per un lungo viaggio bisognerebbe avere chiaro quale sia l’approdo.

E invece al momento la rotta è così incerta che la Lega rischia di restare in mezzo al guado. Perché se col Ppe i canali diplomatici si sono interrotti, e se i rapporti con gli estremisti di destra di AfD sono assai logori, nel cantuccio dei reietti del Parlamento europeo di Identità e democrazia, anche il tanto vagheggiato “nuovo gruppo delle destre europee” sembra un’illusione. Anche perché per farlo nascere servirebbe smantellare di fatto quello dei Conservatori, che vede proprio i polacchi del PiS grandi alleati di Giorgia Meloni, presidente del partito  Ecr. E lei infatti s’è mossa per tempo. Due settimane fa Raffaele Fitto ha fatto approvare all’unanimità, nell’ufficio di presidenza del gruppo europeo, un documento che nega la prospettiva di sciogliere Ecr in vista di ipotetiche nuove formazioni. E la leader di FdI è sicura che, per quanto Morawiecki possa brigare, l’intenzione di Jaroslaw Kaczynski, che del premier polacco è padre politico e del PiS è padrone assoluto, non è affatto quello di approvare la nascita di un nuovo gruppo. Ma senza la dissoluzione di Ecr, senza la possibilità di dar vita a un vero polo unico a destra del Ppe ma comunque legittimato nel gioco democratico di Bruxelles, la corsa di Salvini e Le Pen resta su un binario morto. E forse è per questo che gli organizzatori polacchi della conferenza di Varsavia, contattati dal Foglio, ci dicono che la conferma della partecipazione di Salvini non è ancora giunta. Perché nel frattempo Salvini rimugina e tentenna.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.