ANSA/MOURAD BALTI TOUATI 

La lega di governo

“Dovremmo seguire Draghi, non la Meloni”. Giorgetti sbuffa

Valerio Valentini

Se la sera della disfatta elettorale Matteo Salvini s’eclissa, ai vertici del Carroccio non resta che affidarsi agli umori del suo vice. Che spinge per la vicinanza al presidente del Consiglio

“Dobbiamo scegliere da che parte stare. Ma sceglierlo per davvero. Ed essere poi conseguenti”. Giancarlo Giorgetti lo dice e tutti pensano che per scegliere, per capire, bisognerebbe parlare col capo. Se non fosse che il capo, come spesso gli capita quando le cose si mettono male, stacca il telefono e si rende irreperibile. “Salvini? L’ho cercato ma non ha risposto”, confessava lunedì sera anche Giorgia Meloni. E allora, se la sera della disfatta elettorale il segretario s’eclissa, ai colonnelli del Carroccio non resta che affidarsi agli umori del suo vice. Che stavolta è quanto mai titolato a parlare, visto che la sconfitta s’è consumata nel giardino di casa sua, in quella Varese in cui il ministro dello Sviluppo aveva voluto scommettere con uno dei deputati di cui più ha stima, Matteo Bianchi, come candidato sindaco.

 

E se però è andata com’è andata, ragionavano nella sede cittadina della Lega mentre seguivano lo spoglio sfortunato, è stato perché proprio qui, “dove dovremmo presentarci come partito di governo, le contraddizioni pesano. Che pesassero lo si capiva già alla vigilia, dagli sbuffi di Giorgetti. Il quale, tornando a Varese per la chiusura della campagna elettorale dopo un Cdm tribolato, venerdì scorso scuoteva la testa: “Sul Reddito di cittadinanza ho provato a forzare. Ma la sinistra, ecco com’è fatta. Ci sarebbe in questo senso un’autostrada per noi, al governo, e invece…”. E invece, proprio mentre Pd e M5s complicano la vita di  Draghi, il Carroccio scantona.

 

E allora ecco che l’analisi della sconfitta di Giorgetti è impensabilmente simile a quella che fa la Meloni. Almeno nelle premesse. Perché sì, è vero tanto per la leader di FdI quanto per il vicesegretario del Carroccio che “così il centrodestra non può andare avanti, con tre diverse posizioni rispetto al governo”. Ma se per la Meloni questo è l’assunto che serve a tentare Salvini sulla via dello strappo, per Giorgetti è vero l’opposto. E cioè che “se stiamo al governo, se stiamo dalla parte di Draghi, dobbiamo esserlo fino in fondo: e quindi quando qualcuno attacca strumentalmente il premier e il suo esecutivo, noi dovremmo intervenire per stroncare la critica, non per assecondarla”. Lo diceva lunedì sera, Giorgetti, ripetendo concetti d’altronde già espressi al presidente della Confindustria locale, Roberto Gressi, nei giorni precedenti.

 

E chissà se se lo aspettava che l’indomani la sceneggiatura sarebbe stata la solita: con Claudio Borghi che individuava proprio nella permanenza della Lega in maggioranza la causa della sconfitta alle amministrative, con gli europarlamentari a Strasburgo che difendevano le pulsioni secessioniste della Polonia, col deputato esagitato di turno, nella fattispecie Gianni Tonelli, che dal suo scranno a Montecitorio attaccava Luciana Lamorgese come se fosse all’opposizione. “E io a Matteo gliel’ho detto”, spiegava giorni fa Giorgetti ai suoi amici lumbàrd, “che a furia di recitare la parte di chi sta all’opposizione, poi la gente si dimentica le ragioni per cui stiamo al governo”. E però “Matteo”, che pure aveva rassicurato i suoi senatori sul fatto che il suo intervento sarebbe stato “soft”, a Palazzo Madama ieri è intervenuto per dire alla Lamorgese che la gestione dell’ordine pubblico da parte del governo è stata “una cosa che neanche in Cile, neanche in Venezuela”. Così, come se nulla fosse.  

 

E dunque una correzione di rotta servirebbe, per Giorgetti. Anche perché lui dice che “non succede, ma se succede” che davvero il polo centrista di Renzi e Calenda – quel Renzi e quel Calenda che col ministro dello Sviluppo parlano e si confrontano costantemente, e provano anzi a proporgli accordi presenti e futuri – prende quota, allora un pezzo di Forza Italia ne sarebbe tentato davvero. E fosse anche modesto in termini elettorali, quel fronte avrebbe comunque la funzione di dare consistenza all’intento di chi, anche al Nazareno, predica ancora la bontà del modello “Ursula”, che lascerebbe Lega e FdI al di là del cordone sanitario anche dopo il 2023. Ma Salvini queste cose le capisce? Giorgetti a questa domanda di solito risponde con un ghigno strano. Laconico, a suo modo. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.