(foto Ansa)

La salvifica batosta del centrodestra alle amministrative

Claudio Cerasa

È ora di trattare da adulti i propri elettori. Lezioni per Salvini e Meloni dal giusto 0-5 nelle città

E’ una sconfitta tanto poderosa quanto potenzialmente salvifica quella incassata dal centrodestra alle elezioni amministrative, che si sono chiuse ieri con un cinque a zero tondo tondo per la coalizione guidata dal Pd di Enrico Letta. Una sconfitta poderosa se si ragiona sui numeri, sui primi turni, sui ballottaggi (a Roma ha vinto Gualtieri, a Torino Lo Russo, entrambi senza chiedere l’apparentamento con il M5s: mica male) ma poderosa anche se si ragiona su un dato diverso, che è quello che fotografa lo stato di salute dei due pivot del centrodestra, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che nel corso della campagna elettorale hanno mostrato in purezza tutti i limiti delle proprie leadership.

Il primo limite è quello che riguarda la capacità di Salvini e Meloni di trattare i propri elettori da persone adulte e se ci si riflette un istante si capirà che i due gemelli diversi del sovranismo italiano pagano prima di tutto questo. Pagano l’incapacità di saper scommettere su una classe dirigente ambiziosa, presentabile, europeista e antiestremista. Pagano l’incapacità di saper scommettere su una linea politica chiara, facilmente spiegabile e non contraddittoria come quella degli ultimi mesi, che ha permesso al centrodestra di risultare più vicino alle istanze dei No green pass che a quelle dell’Italia produttiva. Pagano l’incapacità di saper offrire agli elettori un’agenda delle priorità per l’Italia diversa rispetto a quella costruita con un discreto successo nei mesi precedenti alla pandemia. Pagano l’incapacità di saper giustificare il senso di una coalizione all’interno della quale i partiti hanno idee tra loro agli antipodi su quasi tutto: Europa, economia, globalizzazione e persino vaccini. Pagano infine l’incapacità assoluta di sapersi mostrare di fronte ai propri elettori in un modo diverso rispetto a come sono apparsi durante queste elezioni: dei leader su cui investire per il futuro e non delle calamità politiche da scongiurare a tutti i costi.

La sconfitta del centrodestra avviene dunque su molti fronti, su molti versanti, su molti terreni e la tornata elettorale che si è appena conclusa è lì, tentatrice, pronta a offrire agli osservatori diverse ragioni per riflettere in modo spericolato sulla nuova stagione. Perde la destra modello Meloni, che a Roma aveva scelto con coerenza di scommettere su un modello confusionario, inconcludente e sconclusionato come quello di Enrico Michetti, non un infortunio ma lo specchio perfetto dell’identità di Fratelli d’Italia. Perde la Lega modello Salvini, sulle cui spalle pesa l’incredibile candidatura di Luca Bernardo a Milano, ma perde anche la Lega modello Giorgetti, che aveva puntato forte sui candidati a sindaco di Torino e di Varese entrambi incapaci di affermarsi al ballottaggio contro il centrosinistra.

Ora. Sarebbe troppo semplice dire che le spettacolari amministrative del 2021 hanno dimostrato che un centrodestra moderato ha più speranze di vincere di un centrodestra populista (sarà un caso ma gli unici candidati del centrodestra che hanno ottenuto un qualche successo a queste elezioni sono quelli più in sintonia con il governo: Dipiazza a Trieste, Mastella a Benevento, Occhiuto in Calabria). E sarebbe troppo ottimistico affermare che la tornata elettorale che si è appena conclusa verrà ricordata per essere stata la tomba del populismo italiano (nazionalisti puniti, sovranisti schiaffeggiati, grillini spazzati via). Sarebbe troppo semplice perché il dramma del centrodestra – che è un dramma che riguarda la propria ambizione futura e non gli scheletri del passato e che un dramma che riguarda più le grandi città che le piccole città – riguarda la sua testa, la sua confusione, la sua inadeguatezza nello scegliere se stare fino in fondo dalla parte della rivoluzione Draghi o se stare dalla parte dei suoi nemici. E sarebbe troppo semplice perché la sconfitta registrata dai populismi di destra potrebbe portare il partito guidato da Matteo Salvini a investire più sull’agenda d’opposizione che su quella di governo. Eppure, vista da destra, la batosta ottenuta nelle grandi città italiane dalla destra nazionalista potrebbe essere salvifica se solo qualcuno riuscisse a indicare ai Meloni e ai Salvini una svolta necessaria: trovare per il futuro un collante più accattivante rispetto alla quotidiana declinazione dell’agenda del complottismo. Più Draghi, meno Orbán. Più green pass, meno No vax. Più pragmatismo, meno pressapochismo. Trattare da adulti gli elettori di centrodestra non è impossibile: basta solo volerlo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.