A Torino FdI processa Damilano: "Sei poco di destra". E lui si sfoga con la Meloni e Giorgetti

Valerio Valentini

La meloniana Montaruli accusa l'imprenditore, troppo moderato in vista del ballottaggio: "Così non possiamo mobilitare i nostri". Lui fa valere la sua campagna elettorale e le sue spese, e chiama i vertici romani del centrodestra. Intanto la Appendino fa campagna per Damilano, e Conte prova a smarcarsi

Che il battibecco non lo abbia lasciato indifferente, lo dimostra il fatto che lui, subito dopo, abbia sentito il bisogno di correre ai ripari. Per questo Paolo Damilano, il candidato del centrodestra in corsa per il ballottaggio a Torino, nei giorni scorsi ha chiamato Giorgia Meloni. Per questo, più o meno con le stesse ragioni da rivendicare, ha contattato anche i vertici della Lega, sfogandosi con comuni amici di quel Giancarlo Giorgetti che è il più convinto sostenitore della sua candidatura. “Perché mi avete scelto proprio in quanto volto moderato, e ora volete trascinarmi in una campagna tutta incentrata su temi politici”. Eccola, tutta la fatica di essere civico. Anche per chi quel profilo ce lo ha davvero, anche per un imprenditore affermato come Damilano.

 

Elezioni Torino, Fratelli d'Italia accusa Damilano: "Sei poco di destra"

 

La tensione latente è deflagrata giovedì scorso. E’ stato allora, nel corso di una riunione riservata coi referenti torinesi dei partiti che lo sostengono, che il cinquantaseienne magnate sabaudo delle acque minerali s’è sentito mettere sotto processo. Ad accusarlo, soprattutto, Augusta Montaruli, pretoriana della Meloni sotto la Mole. “Se prendi sempre le distanze da noi, quasi come che ti spaventasse apparire uno di destra, come possiamo mobilitare i nostri elettori in vista del secondo turno?”. Questa, in sintesi, l’arringa della deputata di FdI. Che rimproverava a Damilano non solo quello che tutti sanno, e cioè il suo essere assai trasversale e storicamente vicino al centrosinistra torinese, ma perfino ciò per cui era stato scelto come possibile cavallo vincente: un volto rassicurante, niente affatto truce, un pragmatismo che ben poco concede alle fumisterie sovraniste e che poteva dunque per la prima volta conquistare i favori di una borghesia cittadina che da sessantanni guarda a sinistra. Solo che poi i partiti hanno iniziato a far valere le proprie pretese, ché la campagna elettorale esige le sue forzature propagandistiche, e sopportare sempre più malvolentieri i suoi distinguo, i suoi scantonamenti. 

 

Prima del ballottaggio a Torino l'imprenditore si sfoga con i vertici nazionali del centrodestra

 

E così, quando la scorsa settimana Damilano ha stigmatizzato il ringraziamento “ai camerati” fatto pubblicamente da un candidato locale di FdI per il buon risultato di preferenze ottenuto, la Montaruli ha perso la pazienza. “Sei comunque un candidato della destra”, gli ha ricordato nel vertice ristretto. Al che Damilano sul tavolo della discussione ha messo, tra l’altro, quanto di più caro un imprenditore possa avere: “Io da quasi un anno ho investito cifre che non immagini, per portare avanti una campagna elettorale complicata”, ha spiegato, forse alludendo anche al fatto che proprio FdI è stato, nella coalizione di centrodestra, l’ultimo dei partiti a dirsi convinto della bontà di questa candidatura civica. “E mi sembra che gli effetti si siano visti”, ha proseguito Damilano, forte di quelle oltre 35.000 preferenze raccolte al primo turno che fanno della sua lista personale, “Torino bellissima”, la più votata tra quelle del centrodestra. Ed è stato per ribadire il concetto, allora, che poche ore dopo ha contattato anche il quartier generale romano della Meloni, ricevendo rassicurazioni abbastanza solide, se lo hanno fatto sentire sicuro di poter partecipare al confronto pubblico organizzato dal Torino Pride senza finire impallinato dal fuoco amico di FdI (nonostante proprio su una legge regionale voluta dai patrioti sia finito con l’inciampare durante il dibattito, accusando poi i promotori dell’evento di avergli teso una trappola).

E però, se il sostegno dei compagni di viaggio vacilla, Damilano potrebbe contare su quello di chi invece formalmente da lui, e “dalla destra”, si dice lontanissimo. Perché Chiara Appendino nei colloqui privati non nasconde che piuttosto che votare per Stefano Lo Russo, il candidato del Pd che per cinque anni ha guidato in Sala Rossa una intransigente opposizione ai suoi danni, nel segreto dell’urna sceglierà l’imprenditore con cui ha anche buoni rapporti personali. “Con Giuseppe Conte – spiega la sindaca uscente del M5s in questi giorni ai deputati torinesi – siamo d’accordo di restare neutrali: ma se vincesse Damilano, si dimostrerebbe che il Pd vince solo se si allea con noi”. E non potendo esporsi in prima persona, Appendino ha mandato avanti suo marito a esprimere su Facebook un endorsement per il centrodestra. Nell’attesa che Conte, il punto fortissimo di riferimento dei progressisti italiani dica qualcosa. Di progressista, possibilmente.
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.