l'intervista

I comizi di Meloni come i caratteri di Molière. Parla Tommaso Ragno

Giuseppe De Filippi

L'attore commenta la performance in terra spagnola della leader di Fratelli d'Italia. "Il suo eloquio è senza pause e il tono è quello di chi chiude un discorso senza porsi in modo interlocutorio" dice al Foglio

“Mi fa pensare a certi grandi caratteri di Molière”, ci dice Tommaso Ragno, cui abbiamo sottoposto un parere sulla voce e l’espressività di Giorgia Meloni, anche alla luce della recente esibizione in lingua spagnola castigliana. “Ecco, penso a l’Avaro, che rimane uguale dall’inizio alla fine, si chiamano personaggi di carattere, perché non cambiano mai, non evolvono all’interno del racconto. Mentre ci sono stati grandi politici, con un ruolo forte e anche costante sulla scena pubblica, ma che apparivano ed erano, se avessimo voluto rappresentarli in teatro, dei personaggi, cioè erano in grado di mostrare il dubbio, i cambiamenti, le sfumature”.

La voce, però, dà un’idea di fatica, di sforzo, certamente qualcosa di non armonico. “Sì - ci dice Ragno - l’impressione è che ci sia una specie di fretta di affermare, come di qualcuno che nella vita è stato abituato a sbrigarsi a farsi sentire perché altrimenti lo mettevano a tacere. È, però, anche la voce di una persona profondamente persuasa e che vuole farsi ascoltare dagli altri, in questo caso dal governo o dalla maggioranza o dall’opinione pubblica in senso ampio, e allora percepisco, da attore, come un affollarsi di pensieri e il desiderio di non perderne nessuno, di trattenere tutto.

Ci sono diversi eloqui cui uno può fare riferimento, penso all’opposto a quello di Bettino Craxi, in lui le pause davano l’idea della raccolta di idee e pensieri, L’eloquio di Meloni è senza pause e sembra oberato da intenzioni, da cose da dire. Ma poi, quali che siano i concetti espressi e le idee inserite nel discorso, si tratta di un modo per dire che gli altri se la dovranno vedere con loro, è un modo di prendere posizione nel dibattito”. Ci parla di Meloni e Salvini come dei caratteri ricorrenti contrapposti nei ruoli clowneschi, l’augusto e il bianco, con il primo che attacca per rompere gli schemi, quali che siano, e il secondo che si atteggia a incassatore, a quello che sopporta, salvo arrivare all’esplosione finale di rabbia (una cosa simile alla richiesta di pieni poteri). L’interazione tra i due modi di comportarsi ha fatto la storia del teatro e anche del cinema.

Ma, in Meloni, Ragno vede qualcosa di peculiare. Parte dal ricordo della voce di Rosa Russo Jervolino, per dirci che in essa notava una scissione tra la sua espressività vocale e il suo portamento, qualcosa di slegato, non naturale. E, invece, ci dice, “in Meloni ho l’impressione che sia tutto perfettamente connesso, voce, espressione, portamento. Non c’è scollamento, ma si percepisce un’integrità piena, una totale identità”. Ma, non si fa fatica, anche nelle corde vocali, a tenere quel tono, quell’intensità? “Be’, forse in astratto, se pensiamo alla tecnica, ma poi ciascuno di noi sviluppa un proprio atteggiamento, anche nell’emissione della voce, e uscirne fuori è davvero difficile. Anche perché poi si rischia di diventare non riconoscibili. E poi con quei contenuti, che vuoi fare? A volte sembra che siano le cose che dice a guidare l’emissione della voce. Io poi ci sento un continuo intento al comando, non un dialogo, ma un tono un po’ da chi dà ordini, come diceva Nietzsche in generale della lingua tedesca. E’ il tono di chi chiude un discorso, non di chi si pone in modo interlocutorio, o di chi non vuole perdere il filo e perciò non si ferma mai”.
 

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