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oltre l'analisi della vittoria

Letta: "Da Conte mi aspetto coerenza, e un po' più di calore"

Valerio Valentini

"Se la leadership di Giuseppe traballa, lo schema vacilla". Il leader del Pd riunisce la segreteria al Nazareno. Il nodo dei ballottaggi ("Nel M5s siano conseguenti con la loro scelta di campo") e quello della prossima legge di Bilancio

Il calore. Per ora Enrico Letta usa l'immagine del calore. Quello che Giuseppe Conte potrebbe - e dovrebbe - usare in vista dei ballottaggi. Che valgono di per sé moltissimo, evidentemente, vista la posta in palio di Roma e Torino. Ma che valgono anche per quello che significano in termini di prospettiva politica: certificare che, per il M5s, non c'è alternativa a mettere radici nel campo del centrosinistra. Per questo, secondo quanto il leader del Pd spiega ai suoi fedelissimi a margine della segreteria convocata stamane al Nazareno, "se Conte si ferma, il piano vacilla". Il piano, appunto, è quello del "nuovo Ulivo", del campo largo che Letta è convito di poter costruire, al netto dei veti incrociati, per come se lo è sempre immaginato: "da Fratoianni a Renzi", certo, ma coltivando "un dialogo privilegiato con Carlo Calenda da un lato e con Conte dall'altro".

Conte, appunto. Eccolo, allora, il cruccio di Letta. Che nei confronti del collega ex premier nutre stima e simpatia, ma che pura intravede chiaramente certe incognite gravitare sulla testa del nuovo capo del M5s. La prima riguarda proprio la scelta di campo. "Se Conte ha deciso di essere un protagonista del centrosinistra allora da lui, sui ballottaggi e non solo, ci aspettiamo scelte conseguenti", si è sentito dire dai suoi collaboratori Letta, ritrovandosi ovviamente ad annuire. "Per questo, se ci mettesse più calore nelle sue dichiarazioni di sostegno ai candidati progressisti nelle città, non sarebbe male", conviene Letta.

La seconda incognita, più insidiosa, ha a che vedere con la leadership di Conte. Perché se il fu avvocato del popolo fatica a schierarsi, stando al ragionamento condiviso da Letta, questo avviene anche perché ogni volta deve tener conto delle bizze e delle contromosse di altri esponenti più o meno prestigiosi del grillismo. Una volta è Di Battista, una volta è Virginia Raggi, un'altra più genericamente "i gruppi parlamentari" (com'è avvenuto sulla questione della riforma Cartabia): il risultato è che troppo spesso Conte finisce con l'apparire limitato dai suoi stessi compagni di partito, senza che però questa dialettica assuma davvero dei connotati puramente politici. Perché il gioco perverso delle correnti è deleterio, ovviamente, agli occhi di Letta; ma il caos insensato che spesso regola l'agire dei grillini lo è ancor più. Specie in una fase, come questa, in cui il governo è chiamato a scelte delicate.

E qui si viene all'altro tema toccato durante il vertice al Nazareno. Quello dello strappo di Matteo Salvini sulla delega fiscale, e della crescente insofferenza con cui il leader del Carroccio vive questa sua doppia natura "di lotta e di governo". Ebbene, "che la scelta di sostenere Draghi non potesse essere una roba da discutere in un bar, ma che comportasse grosse conseguenze e grosse responsabilità per tutti, a noi del Pd ci è sempre risultato chiaro", ripete Letta in queste ore. "Che il Carroccio l'avesse presa alla leggera, quella scelta, mi sembrava evidente fin dall'inizio. E ora Salvini e Giorgetti pagano il prezzo di quell'ambiguità". E cioè, secondo Letta, perdendo peso specifico all'interno dell'esecutivo e vedendosi logorato il loro consenso all'esterno. 

Diverso, invece, deve essere l'atteggiamento del Pd. E per questo, dopo aver ribadito il proprio favorevole parere all'architettura della delega fiscale varata in Cdm ieri, stamane Letta durante la segreteria ha indicato il prossimo fronte dell'impegno dem. "Marcare bene le nostre posizioni sulla legge di Bilancio": questo è stato il mandato assegnato al senatore Antonio Misiani, responsabile economico del Nazareno. E anche in questo, la fase sembra mutata. Perché, ha ribadito Letta, "dovremo saperci accreditare come il partito del lavoro e dell'impresa". Campo largo, appunto. Con un po' di calore.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.