Cos'è una giustizia eguale, con rispetto per Cartabia

Giuliano Ferrara

Lo scontro tra becerume vendicativo e palliativi oscura cosa dovrebbe essere una vera riforma

Vedo la legge Cartabia, le opache e querule opposizioni di facciata che ha suscitato, la sua necessità per addolcire la pillola della infinita durata dei processi, cioè del diniego di razionalità e di elementari garanzie di equità, vedo bene i compromessi opportuni, ma non vedo alcuna riforma della giustizia. Tutte le chiacchierate deroghe su mafia, terrorismo, stupro, sempre accompagnate dal canto lacrimoso intonato in nome delle vittime e del loro risarcimento, che infallibilmente irrora le guance degli ipocriti, sono prive di senso giuridico. “Portare a termine” certi processi per reati gravi e di particolare allarme sociale, forzando la procedura penale e comprando il tempo della giustizia eguale per tutti, insomma la pretesa salvifica di Conte e dei suoi sopravvissuti della legge Bonafede, equivale ad aggiustare i processi, è una modalità paramafiosa di annullare il criterio di una giustizia giusta in nome della propaganda. 

 

In tutta questa chiacchiera, come sempre provocata dal “popolo dell’onestà-tà-tà” e dai suoi rappresentanti nella maggioranza di emergenza nazionale guidata da Draghi, ci stiamo dimenticando il principio cardine che fingiamo di difendere con toni stentorei e tenorili: il diritto eguale. Un magistrato, ovviamente uno di quelli dalla prefazione facile, di quelli che si occupano di megainchieste e di megacorrenti, ha avuto l’impudicizia di dire che senza emendare quelle norme originarie “non potremo più fare maxiprocessi”, come se un atto di guerra emergenziale, sacrosanto, contro la cupola di Cosa Nostra fosse erigibile a modello extra e antigiuridico della nuova procedura in nome della retorica chiodata dell’antimafia.

Viviamo, con magistrati presunti corrotti che primeggiano da mesi nelle classifiche della calunnia libraria, con intere procure attraversate dal vento tempestoso degli appelli ad hominem, nello scatenamento vendicativo delle peggiori pulsioni politicanti con la toga addosso, in una situazione di massima iniuria travestita da ricerca di giustizia. E ci dobbiamo accontentare, ché c’è anche qualcosa di virtuoso, di dettagli come le videoregistrazioni, le assunzioni massicce di personale ausiliare, i famosi clerk, e altri mezzi strumentali che non hanno a che vedere con il problema principale. Problema noto a tutti, ratificato in canoniche e celebri campagne referendarie, oggi degradate a parossismo trasversalista, e in storia politica del paese che disattende il meglio di sé. Bisogna abolire la carcerazione preventiva come strumento e metodo di ottenimento delle “confessioni”. Bisogna notoriamente separare le carriere di chi giudica e di chi accusa e indaga, l’incompatibilità fondativa su cui è costruito il castello incantato del paese che affetta di detestare i conflitti di interessi e di funzioni, e il traffico di influenze, o così si dice. Bisogna impedire l’abuso delle intercettazioni telefoniche e ambientali, e il loro connesso mercato mediatico, due tra i mezzi prediletti dell’avvilimento della giustizia e della sua cultura. Bisogna normare l’esternazione dei funzionari in toga, impedendo la loro costituzione ogni giorno in partito politico o in sindacato di corporazione attivistica.

Bisogna accelerare i giusti processi per tutti, e tendenzialmente senza deroghe di aggiustamento, collegando l’insieme a una legislazione di decarcerazione che i fatti di Santa Maria Capua Vetere mostrano necessaria e urgente. Bisogna introdurre la responsabilità disciplinare per negligenza e dolo come se non sia mai esistita, perché in effetti con questa organizzazione della corporazione dell’ordine giudiziario non esiste o quasi. Bisogna mettere il ministero della Giustizia nelle mani degli eletti e sottrarlo a quelle dei magistrati. Con tutto il rispetto per la legge Cartabia, benintenzionata, e per la buona mediazione del famoso “primo passo” riformista, la questione di una giustizia eguale per tutti e per tutti efficace è questa, non la si rinviene nell’ultimo scontro tra becerume vendicativo e palliativi vari. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.