L'ìntervista

"Cartabia da abbracciare, ma sulla riforma della giustizia serviva più coraggio". Parla Ayala

"I magistrati diligenti, quelli laboriosi, non li trovate sui quotidiani, perché solitamente stanno in ufficio con la lampada accesa e il portacenere vicino"

Carmelo Caruso

Un clima tossico, una ministra trattata come una tirocinante. La parola mafia utilizzata con facilità. "L'improcedibilità è un compromesso ma ci voleva più determinazione. La giustizia è da riparare, la prescrizione non il guasto ma l'effetto". Intervista al pm del maxiprocesso, Giuseppe Ayala

Un ex magistrato che è un vanto di magistrato dice che solo in una nazione intossicata si può fare una battaglia sulla prescrizione. E dice che solo gli idolatri del fascicolo giudiziario, della pena, quelli che vivono di mozziconi, possono portare avanti questa lotta che è la lotta degli ottusi. E’ Giuseppe Ayala, ed è stato compagno di scrivania di Giovanni Falcone, pm del maxiprocesso, sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi. La riforma Cartabia era dunque questo immondo scandalo raccontato? “Il vero scandalo è l’insopportabile lentezza dei processi, essere sanzionati dall’Europa. Qui il processo non rispetta il mandato della Costituzione sulla ragionevole durata.  Serviva più coraggio. Io non mi unisco al coro di chi non vuole cambiare”.

 

Innanzitutto, partiamo dalla ministra Riforma. Ha discusso la sua tesi di laurea con Valerio Onida e Fausto Pocar. Il primo è stato presidente della Corte costituzionale, il secondo del Tribunale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia e di quello per il Ruanda. Lei stessa ha ricoperto l’incarico di giudice della Consulta fino a presiederla. E’ professoressa ordinaria di Diritto Costituzionale. Ayala, è questa “la peggiore riforma di sempre” assemblata da una donna che i magistrati, nelle loro interviste, continuano a trattare come una tirocinante? “Solitamente chi assegna la patente dell’incompetente è chi incompetente lo è davvero. In Italia questo è un altro serio problema. Tutti si credono esperti di giustizia come lo sono io di navigazione aerospaziale. La verità è che siamo dinanzi a una studiosa, una giurista di valore. Non ho il piacere di conoscerla. Non mi potranno quindi accusare di complicità intellettuale. Conosco tuttavia il suo percorso che è un percorso pubblico. Di lei ne  penso, e ne penso  bene”.

 

Ritagliamo  le caricature, e non per fare pubblicità, ma per restituire un clima. E’ il clima che ha generato una collana di interviste dove si è urlata la contrarietà dei magistrati alla riforma. E’ diventata infatti la “schiforma”, “una porcheria”, “la scartabia” e sempre si denunciava che i mafiosi l’avrebbero fatta franca, le grandi catastrofi impunite. “Giù le mani dalla prescrizione”. Ma che significa? “Significa non capire. Si continua a parlare della prescrizione come fosse questo il problema. La prescrizione è l’effetto ma non la causa dei guasti della nostra giustizia”.

 

Per venire incontro alle richieste del M5s, alla propaganda di Giuseppe Conte, si è escogitato il dispositivo dell’improcedibilità. Lei ha capito di cosa si tratta? “Ho capito che è una mediazione, un compromesso, e capisco anche le ragioni. Le rispetto. Siamo tutti d’accordo, e io lo sono, che la nostra giustizia è da riparare. E’ evidente. Ma cosa fa un medico accorto quando si trova di fronte a un tumore operabile? Lo opera. L’improcedibilità rischia di non essere compresa da chi in Europa ci chiedeva  maggiore determinazione. Ma voglio sperare di sbagliarmi. Sono le statistiche, e non sono certo io un uomo che ragiona da matematico, che ci inchiodano a numeri da vergogna ”.

 

Perché non si trova un magistrato che dica “voglio indagini esatte e processi veloci”, uno che dica non “voglio stare qui a discutere ma chiedo ragazzi e risorse”, uno che non minacci la salita in montagna quando si parla di riforma della giustizia? “Non è vero che non si trova. I magistrati perbene, quelli diligenti, quelli laboriosi, non li trovate in pagina, suoi quotidiani, perché solitamente stanno in ufficio con la lampada accesa e il portacenere vicino. Ci sono, e sono anche la maggioranza. Sono quelli che si imbarazzano del livello di decadimento e che soffrono nel vedere una categoria che ha perso credibilità. Io stesso a volte mi chiedo: ma che mestiere ho fatto per tanti anni?”.

 

L’arma di distrazione è stata “la mafia”. E’ ragionevole, tanto più per chi aspetta giustizia per reati tanto insopportabili, avere un processo che dura oltre dieci anni? “Certo che non lo è. La parola ‘mafia’, purtroppo, si usa con troppa facilità”. Un magistrato come la riformerebbe la magistratura? “A Mario Draghi e Marta Cartabia posso solo manifestare la mia solidarietà. La ministra da abbracciare. Provarci è già eroico. Lo ha fatto”.
 

 

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio