Giuseppe Conte al termine dell'incontro con Mario Draghi a Palazzo Chigi (foto LaPresse)

il dietrofront

“Fiducia in Cingolani”. Conte sventa l'altro blitz rossogiallo

Luca Roberto

L'analisi del dl Semplificazioni offriva nuove sponde tra M5s e Pd per mandare "sotto" il governo. Ma Draghi chiede all'ex premier un'assunzione di responsabilità. I grillini: "Siamo perplessi. Le parole di Conte non aiutano"

Tutto lasciava presagire un altro blitz. Ché dopo aver sostenuto insieme, venerdì scorso, un emendamento al dl “Semplificazioni” che dà alle commissioni parlamentari il potere di rivedere i singoli piani del Pnrr, Pd e M5s avrebbero potuto farsi ingolosire di nuovo, cercando di mandare ancora una volta “sotto” la maggioranza e dare un’altra spallata al governo, così impegnato ad accorciare i tempi per utilizzare i  fondi europei. 
E invece no, tutto s’è acquietato verso l’ora di pranzo di ieri. Quando Giuseppe Conte ha varcato in uscita la soglia di Palazzo Chigi dopo quaranta minuti di colloquio con il premier Mario Draghi. E dalle dichiarazioni rilasciate alle frotte di cronisti, s’è capito subito dove andasse a parare. “Il ministro Cingolani ha la nostra piena fiducia”, ha detto. Tanto è bastato perché la temperatura del gruppo parlamentare “contiano”, fino a quel momento prossimo  all’escandescenza, subisse un repentino raffreddamento. Con i deputati Giovanni Vianello e Alberto Zolezzi, pronti a tessere nuove sponde con i dem, depositari del preciso mandato di desistere dalla caccia a convergenze pericolose emendamento per emendamento. Una consegna che nei grillini ha suscitato “perplessità”, lasciano trapelare fonti interne alla commissione Ambiente: “Stiamo lavorando per dare una veste più green al dl ‘Semplificazioni’ e le parole di Conte non aiutano”.

A Palazzo Chigi, del resto, non hanno mai nascosto di osservare con apprensione a quel che stava montando nell’aria. E se Conte è sembrato tanto risoluto nel sottolineare la fiducia al titolare della Transizione ecologica, lo si deve in parte anche alla questione che gli è stata posta dal capo del governo: il clima di guerriglia lo si deve far rientrare al più presto nei ranghi del legittimo confronto, senza aut aut nei riguardi  di singoli ministri. Anche perché le rimostranze dello stesso Cingolani, che dopo l’approvazione dell’emendamento in Commissione alla Camera ha minacciato le dimissioni, hanno trovato una sponda a Chigi. Da qui la richiesta di un’assunzione di responsabilità per frenare nuove imboscate.

Se le tensioni con Cingolani nascono dalla percezione di un’incompatibilità di fondo tra i diversi approcci dei partiti di questa strana maggioranza (persino la sottosegretaria leghista Vannia Gava, giovedì scorso, in una chat con i suoi,  ha dato mandato di “bombardare” il ministro “perché lo fanno sia il M5s che il Pd”), l’assonanza grillina con i dem s’è innestata su un clima, in commissione Ambiente, già particolarmente avvelenato. Perché i deputati del Pd si sono fatti insospettire da una serie di concessioni del governo al centrodestra, sempre nelle pieghe del Semplificazioni: a favore di un richiesta molto locale avanzata dal governatore del Friuli Massimiliano Fedriga. E nell’accogliere un emendamento sul dissesto idrogeologico in Calabria presentato dal forzista candidato in regione Roberto Occhiuto.

Non è tutto. Proprio riguardo a quest’ultima specifica, il Pd chiedeva che la gestione del dissesto idrogeologico passasse nelle mani del Mite. Mentre l’orientamento del governo è di accentrare le funzioni all’interno della struttura presieduta dal capo della Protezione civile Curcio. Insomma, di  fronte a un progetto di largo respiro come il Pnrr, che imporrebbe ai partiti di appianare le distanze per velocizzare l’iter parlamentare, questi ultimi sembrano più attenti a vagliare nel dettaglio i fondi per il dragaggio di un fiume di provincia che non a salvaguardare una visione d’insieme. E’ in questo brodo di coltura che stava maturando la nuova imboscata rossogialla. Sventata solo da Conte. O, forse, da Draghi.

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