Referendum, perché votare contro la sindrome del taglio
Le leggi non si fanno non perché i parlamentari sono tanti, ma perché non sono messi in condizione di farle
Oramai ho compreso di vivere l’epoca della sindrome del taglio. E’ una patologia gravissima della democrazia, lo dico subito. Perché nel nome di fini alti e nobili si storpiano i verbi della buona amministrazione come razionalizzare e modernizzare. Va così anche con il taglio (rieccoci) dei parlamentari che si rivelerà uno sfregio al nostro sistema, una cicatrice destinata a non rimarginarsi. Con 200 deputati e 100 senatori in meno non funzionerà meglio il Parlamento, in niente migliorerà la qualità del potere legislativo. Non sarà più spedito il procedimento di produzione e perfezionamento delle leggi, ne’ con il ridicolo risparmio degli stipendi potrà averne giovamento l’equilibrio del bilancio dello Stato.
Parlo con cognizione di causa. La paralisi legislativa che vivono le Camere, soprattutto per la parte che riguarda le leggi di iniziativa parlamentare (compulsare openpolis per rabbrividire), è figlia di un’incapacità che vede il governo tenere in ostaggio il Parlamento con la bulimia da decretazione d’urgenza.
Intendiamoci, non mancano le idee ai parlamentari come dimostrano le quasi 4.000 proposte di legge presentate. Si potrà obiettare che alcune, molte siano strampalate. Ma, per il semplice calcolo delle probabilità, almeno un 10 per cento supereranno il vaglio della decenza. Significa che circa 400 proposte potrebbero essere convertite in legge. Ripeto: si contano sulle dita mozze delle mani le proposte approvate dall’inizio della diciottesima legislatura. E, come sappiamo, non basta che sia la Camera a deliberare perché è necessario il “timbro” del Senato. A mo’ di esempio citerò un caso che mi riguarda per non far arricciare il naso a nessuno: il 30 Luglio del 2019 la Camera approvò all’unanimità un testo di legge che mi vede primo firmatario sull’uso e la diffusione obbligatoria dei defibrillatori. Questa legge giace ancora nel ventre molle del Senato a distanza di oltre un anno nonostante sia stata assegnata alla competente Commissione in sede deliberante, cioè senza il necessario vaglio successivo dell’Aula. Cosa è accaduto? Semplice, che nel corso di questo anno la Commissione competente è stata paralizzata per mesi dalle liti della maggioranza che non ha eletto il presidente della Commissione e successivamente, con l’elezione del presidente, la Commissione è rimasta bloccata dall’attività del Covid che gli ha fatto inseguire affannosamente i decreti del governo.
Il risultato è quello di una legge fondamentale per la vita dei cittadini che non vede ancora la luce. Il problema dell’attività delle Commissioni, dove si sviluppa gran parte del lavoro del Parlamento, è uno dei nodi centrali e nulla centra il taglio dei parlamentari quanto invece i regolamenti di funzione di Camera e Senato. È lì che bisognerebbe incidere in profondità per rendere snello ed efficace il procedimento di formazione delle leggi. Evitando, ad esempio, il defatigante quanto inutile rito degli Ordini del giorno a corredo dei decreti o delle leggi che si approvano in Aula. Si tratta di centinaia di atti equivalenti a carta straccia che vedono impegnati per ore e ore i deputati affinché possano appiccicare al decreto o alla legge in discussione una loro proposta che, nel migliore dei casi, vedrà il governo impegnato “a valutare l’opportunità di….” mettere in atto qualcosa relativo alla legge. Gli ordini del giorno sono “carta straccia” perché il governo nove volte su dieci, con approssimazione verso il dieci, non dà seguito a questi ordini del giorno che però vengono “venduti” dai parlamentari come un successo per il proprio collegio o rispetto al bacino al quale si rivolgono. E’ la stessa identica procedura che riguarda gli emendamenti: centinaia, migliaia, decine di migliaia presentati a corredo delle leggi che vengono sistematicamente non discussi e falcidiati dalla maggioranza di turno senza che vi sia un effettivo ragionamento sull’utilità dell’emendamento. Ho fatto questi pochi esempi per dimostrare come non sarà mai il numero dei parlamentari a incidere sulla virtuosità del procedimento legislativo, quanto le modalità di approccio. Potrei continuare addentrandomi nella selva oscura del “Sindacato ispettivo” e cioè quel mondo frastagliato di interpellanze, interrogazioni, interpellanze urgenti, Question time per andare avanti con mozioni e risoluzioni che ancora una volta non segnano quasi in alcun modo la vita del Parlamento e dunque della società.
Va da sé che questa elefantiaca attività, nella quale inserisco e insisto con la decretazione di urgenza che esautora il Parlamento dei propri effettivi poteri, non è svolta dai singoli parlamentari ma dagli uffici legislativi dei gruppi politici di appartenenza e dai funzionari della Camera e del Senato. Dirò subito che parliamo di un’eccellenza dell’amministrazione pubblica del paese che, quando si realizzerà il sogno populista di punire la casta e tagliare i parlamentari, vivrà esattamente come è adesso: al taglio dei parlamentari, cioè, non si accompagnerà alcun taglio né alcuna razionalizzazione del corpo dei funzionari e dei dipendenti di Camera e Senato rispetto a quello esistente. I tempi che viviamo, però, vanno nella direzione del tutto e subito e dunque si continua a pensare che riducendo i parlamentari il nostro Paese improvvisamente guadagnerà l’alba dell’efficienza. Nulla, ripeto e sottolineo, di più sbagliato ed erroneo. La morale è che le leggi non si fanno non perché siamo tanti, ma perché non siamo messi in condizione di farle. E, a proposito di tanti: quando i padri Costituenti inserirono la previsione di maggioranze qualificate non lo fecero a caso. Ma perché per vivere quella Costituzione – ed essere dunque vivente – aveva bisogno di numeri e consapevolezze numericamente elevate per certificare alcuni passi fondamentali. Ma ora, in tempi di atrofia costituzionale, ci si accontenta di sopravvivere o vivacchiare. Che poi spesso è come non vivere. Tagliate, dunque, tagliate ad libitum e senza cognizione: alla fine resterà quella brodaglia culturalmente indefinita e indigeribile che chiamiamo populismo d’accatto e certamente molto accattone.
* Giorgio Mulè, deputato di Forza Italia