(foto LaPresse)

La Raggi invita alla delazione, e nella tragedia c'è da ridere

Salvatore Merlo

Il sindaco lancia una app per la delazione antivirale: denuncia anche tu gli assembramenti

Il tono è allegro e invitante, malgrado le maiuscole. “Hai notato un ASSEMBRAMENTO nella tua zona?”, ti chiede la slide pubblicitaria del comune di Roma. “Da oggi puoi SEGNALARLO con il SUS (Servizio unico segnalazione) di Roma Capitale”, aggiunge la medesima pubblicità, implicando che la reazione del cittadino-lettore debba essere la seguente: guarda che bella novità tecnologica! Finalmente un servizio internet utile (funziona anche da cellulare inquadrando un codice a barre). Adesso sì che possiamo bloccare il contagio da coronavirus denunciando in tempo reale tutti quegli stronzi che ancora se stanno ancora in giro per strada!

 

Appena qualche settimana fa l’iniziativa del comune di Roma ci avrebbe fatto pensare alla versione amatriciana e dunque grillina della Ceka di Beria, insomma a un cascame del vaffa originario. Perché Virginia Raggi, la sindaca di Roma che ha sviluppato la app delatoria, è il prodotto umano d’un gruppo politico fermentato proprio nella subcultura della delazione e della gogna, nell’ossessione per i furbetti e per i disonesti (due categorie che alla fine coincidono, nella testa dei grillini, con tutta l’umanità che è altro da loro). Esattamente tre anni fa, era marzo del 2017, la Raggi commissionò una pubblicità “educativa” per i romani, notoriamente poco inclini a timbrare il biglietto dell’autobus. Nello spot si vedeva il “furbetto”, privo del necessario titolo di viaggio, che finiva circondato da un grappolo di “cittadini onesti” che lo prendevano a male parole, lo costringevano ad alzarsi e alla fine riuscivano anche a rieducarlo. C’è dunque della coerenza, in questa nuova iniziativa romana. I Cinque stelle, si sa, hanno sempre premiato la denuncia, strumento di fulminanti carriere interne e strumento di eliminazione degli avversari, al punto che la stessa Raggi è diventata sindaco perché a suo tempo lo sfidante Marcello De Vito fu fatto oggetto di un dossieraggio da parte dei suoi compagni grillini.

 

Quella stessa solerzia in cui si esercitavano Crimi, Morra e Taverna, epigoni grotteschi delle guardie rosse di Mao, quando nella scorsa legislatura praticavano le epurazioni di chi nel M5s evidentemente non aveva le idee giuste. Sono fatti così. Da sempre. Si eccitano nell’accusa, digrignano i denti, trasformano internet in una parodia del tribunale del popolo, e mettono in pratica queste idee nei modi più bislacchi che l’umana fantasia possa partorire, dalla app per le delazioni di Virginia Raggi, appunto, fino alle leggi Spazzacorrotti di Alfonso Bonafede e ai processini web celebrati su Rousseau. Eppure, alla fine, visti i tempi, tra morti e contagiati, nella Roma deserta sulle cui strade resta solo la monnezza che nessuno raccoglie, ormai anche le stupidaggini della Raggi, e i risvolti violenti che sottendono, non riescono ad accendere una vera reazione scandalizzata, né davvero infastidita. Anzi. Nella tragedia spaventosa cui ogni giorno assistiamo, mentre restiamo in casa rinunciando alla libertà per difendere la vita, ecco che questa piccola tragedia dell’inadeguatezza grillina, sospesa tra sguaiataggine e ciarpame intellettivo, risulta all’improvviso quasi divertente. Rilassante, persino. Come il fatto che ieri pomeriggio, dopo aver tentato per un giorno intero di difendere l’idea della delazione internettiana, i collaboratori della sindaca abbiano iniziato a far sapere che l’idea della app non sarebbe in realtà della Raggi ma di una funzionaria dirigente del comune di Roma, di cui ieri (da veri delatori) offrivano anche il nome e il cognome in pasto ai giornalisti. E insomma, in questo mondo di orrori dove nulla appare più stabile e radicato, ecco che la comica furberia a cinque stelle è la sola cosa certa, ferma, famigliare e ripetitiva cui ci si possa appoggiare.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.