Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Pure Conte nella palude

Valerio Valentini

Il premier teme che la distensione di Renzi si trasformi in logoramento: e se lui e Salvini avessero un accordo?

Roma. C’è senz’altro la paura dello sgambetto, lo spettro della macchinazione orchestrata alle sue spalle. “È evidente che Renzi e Salvini hanno un accordo per farmi saltare, ragazzi”, ha spiegato Giuseppe Conte, col tono di chi vede ciò che altri non scorgono. E gli altri, nella fattispecie, erano ministri e sottosegretari grillini, riuniti virtualmente durante un colloquio telefonico in vivavoce mercoledì sera, proprio mentre andava in onda la temuta puntata di “Porta a Porta”. E tra loro, per giunta, c’era anche un altro sospettato. Perché nella sua tribolata permanenza a Palazzo Chigi, in questa galleria degli specchi in cui ogni ombra diventa un fantasma, il premier fiuta anche la puzza di un diverso e più pericoloso accordo, magari implicito, tra il senatore di Scandicci e Luigi Di Maio, “che quando potrà – giura chi sta vicino a Conte – non risparmierà di dare la sua zampata a Giuseppe”. Ma poi, oltre al timore che tutto precipiti d’incanto col rumore della botola che si apre, dell’ascia che cade a troncare di netto le ambizioni politiche del fu “avvocato del popolo”, Conte macera anche nell’ansia dell’attesa, della stasi. Perché, ora che la sfida muscolare con Renzi s’è risolta in uno stallo in cui nessuno è troppo forte per abbattere l’altro, né troppo debole per esserne sconfitto, per il premier il rischio peggiore è quello del logoramento. 

  

Perché, del resto, “il ruolo di Conte è quello di fare il presidente del Consiglio: quindi lo faccia”, sentenzia il deputato dem Enrico Borghi. E però nella palude in cui il governo si ritrova, governare si trasforma in un esercizio di equilibrismi tra le diverse pulsioni dei partiti di maggioranza che spesso sfocia nell’unico esito possibile: il rinvio. Rinviata la grana della prescrizione, e pure quella della revoca delle concessioni autostradali; rinviata Ilva e anche Alitalia. Tutte questioni che incancreniscono nel tempo e che creano inevitabilmente problemi alla figura di Conte. Il quale, non a caso, di fronte ai continui attacchi di Renzi è stato più volte tentato dallo scontro frontale in Senato: “Così la risolviamo una volta per tutte”. Solo che per farlo, senza rischiare di andare sotto, al Senato serve il soccorso dei fatidici responsabili. E già trovarli si sta rivelando più complicato del previsto, come spiega il forzista Andrea Causin, che pure dovrebbe essere della partita: “I promotori dell’iniziativa sono Romani, Mallegni e Quagliariello: tre volponi a cui nessuna persona di buon senno affiderebbe il proprio destino”. E così, siccome nessuno dei presunti responsabili si sente garantito da nessuno, Conte è costretto a chiamarli a uno a uno, promettendo a ciascuno il suo strapuntino di gloria. “L’unica sua alternativa – ragiona Gianfranco Rotondi – sarebbe affidarsi a un unico gruppo di neo Dc che potrebbe nascere anche al Senato: ma a quel punto si tratterebbe di un nuovo assetto di maggioranza, che richiederebbe un governo nuovo”.

  

Ma rimandando, per cautela, lo scontro frontale, c’è da affrontare la guerra di posizione. Ed è su quella che ora ripiega Renzi. Il quale, dopo l’assalto un po’ scomposto di mercoledì sera, in mattinata sventola l’ulivo della pace: “Ho chiesto a Conte d’incontrarmi”, dice. Poi, dopo pranzo, riunisce i senatori di Italia viva nel suo ufficio e per prima cosa esulta: “Abbiamo disorientato tutti”. Trovandosi però le facce un po’ perplesse dei suoi, che nella schiera dei disorientati sono i primi: “Abbiamo messo sul tavolo quattro proposte importanti”, argomenta l’ex premier, citando l’abolizione del reddito di cittadinanza, il piano “shock” sui cantieri, il premierato e la mozione di sfiducia a Bonafede, “un’arma che teniamo sul tavolo” (anche se non sembra fare troppa paura, a giudicare dalla serenità con cui, alla buvette della Camera, il ministro grillino Federico D’Incà si stringe nelle spalle: “Renzi dice che la presenterà entro Pasqua? Ma io a Pasqua mangio la colomba della pace, non quella della guerra”). “Se fossi in Conte – prosegue l’ex premier – ne accetterei almeno un paio, così da riconoscere il nostro ruolo nella maggioranza. Se invece continuerà a rifiutare le nostre idee, ne trarremo le conseguenze”.

  

E Conte pare quasi ascoltarlo, se subito accoglie la sua richiesta d’incontro e annuncia una verifica alle Camere proprio sul nuovo programma di governo, l’“agenda 2023”. Che però, oltre a non soddisfare troppo il renziano Luigi Marattin, non sembra entusiasmare appieno neppure il Pd. Il cui gruppo di senatori, riunito in assemblea di prima mattina da Andrea Marcucci proprio per respingere l’offensiva renziana, si ritrova a dovere gestire anche i malumori di chi, più che contro l’ex premier, si sfoga contro l’immobilismo del governo. E così Tommaso Nannicini prende la parola e dice che le riforme costituzionali servirebbero eccome, e che infatti la maggioranza le sta facendo ma le sta facendo male, con cedimenti pericolosi all’ideologia anti-politica del M5s. E poi, parlando della nuova agenda di governo, insiste che su crescita e lavoro c’è da stare attenti a fare propaganda mentre la produzione industriale crolla, e che i risultati dei tavoli di lavoro sembrano ancora molto lontani. Solo che è su quelli che Conte dovrà fondare la sua “fase due”. E di fronte all’ansia del logoramento lento, il fuoco di Renzi lo spaventa meno. Anzi. “È chiaro che noi a Conte – dice Marcucci – chiederemmo uno slancio maggiore nell’azione di governo. Ma fintantoché Renzi lo bombarda così, noi non possiamo che difendere il premier”. D’altronde, è proprio nella sfida contro un nemico interno – l’altro Matteo – che Conte s’è costruito una sua legittimità politica.

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