Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Salvini e i rischi dell'uno contro tutti

Valerio Valentini

Dopo la Gregoretti, Giorgetti suggerisce al segretario della Lega di cambiare lo schema di gioco

Roma. A vederla con gli occhi di Giancarlo Giorgetti, il problema sta anzitutto nell’ipercinesia: “Ora Matteo dovrà fermarsi e riflettere”, dice lo stratega leghista del suo segretario, sfogandosi col forzista Paolo Romani, che al Senato organizza la pattuglia dei centristi responsabili. Ma più che di una pausa di riflessione, ciò di cui Salvini ha bisogno, secondo Giorgetti, è “cambiare schema”, e cioè abbandonare il paradigma dell’uno contro tutti. Al che a Stefano Candiani, che di questa strategia è stato uno dei principali teorici, devono fischiare le orecchie.

 

 

E infatti appena lo si interpella sul tema, il pretoriano di Salvini sbuffa la sua insofferenza: “Troppo facile dirlo ora che questa strategia non paga”. Perché in fondo è stato proprio Candiani uno di quelli che al suo “capitano” ha consigliato la via dell’intransigenza: “Votiamo in favore dell’autorizzazione in Giunta, così in Emilia vinciamo”, ripeteva l’ex sottosegretario all’Interno a metà gennaio. Ora che l’Emilia è andata com’è andata, anche Candiani pare convenire che è il caso di “cambiare schema”: “Chi vi dice che non lo si stia già facendo?”, sogghigna. Forse ci sta pensando anche Salvini, che è il caso di resettare tutto. E infatti nel suo discorso, in un passaggio in verità un po’ confuso, si rivolge alla maggioranza di governo col tono stentorio di chi attacca (“Non fate che rinviare”), ma in realtà lancia un appello: “Fate qualcosa, e magari se noi saremo d’accordo voteremo a favore”. Eccolo, l’amo gettato nella palude stagnante dei giallorossi: “Partire da tre o quattro temi specifici, in virtù dell’emergenza economica del paese” è infatti, nei ragionamenti di Giorgetti, il modo in cui andrebbe imboccato il sentiero che porta al governissimo. Ed evitare, così, la “traversata nel deserto” dell’opposizione. Scenario che spaventa tutti, nel Carroccio. Anche al Parlamento europeo: dove ormai la tensione interna al gruppo è al livello di guardia, e anche Matteo Adinolfi, laziale, mostra insofferenza: “Finché resteremo insieme a Le Pen e AfD, non toccheremo palla. Parecchi dei nostri – s’è sfogato giorni fa – vorrebbero andare coi Conservatori”. E non è un caso se a Gianna Gancia, capofila dei “dissidenti” a Bruxelles, è arrivata la solidarietà – sotto forma di “like” su Facebook – di Gian Marco Centinaio: lui che al Senato siede alla destra del capo, e che però lo vede chiaro il rischio del “cordone sanitario”: “Questi dureranno a lungo”, ha detto ai suoi colleghi riferendosi al governo giallorosso. “E noi che facciamo?”. Roberto Calderoli, che siede invece alla sinistra di Salvini, sbuffa sempre più: “A Salvini – ha ricordato giorni fa – lo dissi chiaramente che non lo avrebbero mai mandato a votare, ad agosto. Figuriamoci ora. Questi palazzi hanno delle regole inscalfibili”.

 

 

E allora meglio provare a romperlo, questo cordone. Magari proprio contando sulle smanie di chi ha bisogno di sparigliare di nuovo. E cioè quel Matteo Renzi che sarà pure, come dice Salvini ai suoi, “solo un gran chiacchierone”, ma che pure può fungere da grimaldello che rimette in discussione gli equilibri generali. E così ad Andrea Ostellari, presidente leghista della commissione Giustizia al Senato, è giunto l’ordine di ammettere l’emendamento che Forza Italia ha presentato al decreto sulle intercettazioni: un intervento che, con un arzigogolo ardito, rimette in discussione l’impianto della legge Bonafede sulla prescrizione. “Se passa, quell’emendamento diventa piccante”, scherza Ostellari, con l’aria di chi sa che i renziani apprezzerebero il favore. “Del resto, dopo la Gregoretti arriverà la Open Arms, nella giunta per le autorizzazioni”, ragiona Candiani, dando forse già una testimonianza del nuovo corso. “E stavolta, anziché votarci contro, dovremo convincere le persone di buon senso”. I renziani, intende? “Non ve lo dirò mai”, si schermisce.

 

E insomma è chiaro che il voto di mercoledì, a suo modo, potrebbe essere l’ultimo episodio di una saga: “Salvini contro tutti”. A patto che il diretto interessato accetti fino in fondo i suoi nuovi panni. E quanto sia difficile far cambiare pelle a un animale che conosce un solo modo di stare al mondo, lo sa anche Giulia Bongiorno. Che al termine di una giornata passata a persuadere il suo segretario a votare contro l’autorizzazione a procedere, si ritrova a sospirare: “Io gli ho consigliato la soluzione più ragionevole sul piano giudiziario, lui ha scelto di tenere la linea politica che ritiene più coerente”. Un modo gentile per dire ciò che Stefani Lucidi, ex grillino da poco passato nella Lega, dice più esplicitamente, e cioè che “Salvini decide di pancia, forse perché fin qui è stata questa la sua forza”. E potrebbe rivelarsi, ora, la sua condanna.

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