Bibbiano è diventato un rito e un rutto collettivo da campagna elettorale
L’unica cosa importante è trovare una scusa per attaccare l’avversario a prescindere da cosa dicono le carte dell’inchiesta
Roma. Bibbiano è diventata per colpa della strumentalizzazione politica una lallazione, parola senza significato; viene ripetuta da sinistra e destra per spirito di autoconservazione. Nessuno, a pochi giorni dal voto in Emilia-Romagna, è interessato al merito della vicenda. Anzi, la lallazione continua, e verrà ripetuta – salvo retromarce dell’ultima ora – in piazza il prossimo 23 gennaio quando proprio a Bibbiano forse si sfideranno Lega e Sardine, quasi a stabilire una primogenitura dell’indignazione.
L’importante è trovare una scusa per attaccare l’avversario a prescindere da cosa dicono le carte dell’inchiesta, e l’ultima settimana ne è stata la dimostrazione: nei giorni scorsi sono state pubblicate le motivazioni con cui la Cassazione ha annullato l’obbligo di dimora per il sindaco di Bibbiano Andrea Carletti. Finalmente se ne conoscono i motivi: l’annullamento riguarda la mancanza di pericolo di inquinamento delle prove. La discussione da fare dunque dovrebbe vertere sull’uso e l’abuso della carcerazione preventiva, che dovrebbe essere legittimamente considerato un obbrobio e combattuto non solo da chi si professa garantista. Niente si dice nelle motivazioni della Cassazione, e questo già lo avevamo raccontato sul Foglio a dicembre, sulle accuse che tutt’ora riguardano il sindaco, che è naturalmente innocente fino a prova contraria (lo diciamo a beneficio dei forcaioli). Accuse che appunto la Cassazione non ha cancellato. Gli stessi avvocati della difesa nel presentare il ricorso non hanno peraltro messo in discussione le eventuali colpe del loro assistito.
Nello stesso giorno in cui venivano pubblicate le motivazioni della Cassazione, veniva dato l’annuncio della chiusura delle indagini: 26 indagati, 107 capi di imputazione, di cui 66 a carico di una sola indagata. Come ha notato su Linkiesta l’avvocato Cataldo Intrieri, molto attento al caso Bibbiano, “la furia tifosa con cui la sinistra si è avventata sulla scarcerazione di Carletti non è frutto di una resipiscenza garantista bensì l’effetto della visione giustizialista che la porta ad esasperare il significato dell’applicazione di una misura cautelare che non può essere, nel bene e nel male, un giudizio”. Del resto, ha detto ancora Intrieri, “Carletti ha una colpa ancorché non sia reato: aver dato credito ad una scuola di pensiero, quella di Claudio Foti, il guru di Moncalieri, che col suo fiuto si vanta di annusare abusi con la stessa perizia di un cane da tartufi, sconfessata da almeno dieci anni dalla comunità scientifica”. Tra gli indagati c’è appunto Foti, noto psicoterapeuta non laureato in Psicologia ma in Lettere che a dicembre è stato sospeso per sei mesi dalla professione con l’accusa di frode processuale (vicenda che era già emersa in precedenza nel corso dell’inchiesta): Foti, riuscito a entrare nell’albo degli psicologi grazie a una sanatoria predisposta dalla legge numero 56 del 1989 che ha regolarizzato situazioni incerte fino a quell’epoca, è accusato di aver convinto una minore con sedute serrate e modalità suggestive di essere stata abusata dal padre. In questo modo avrebbe radicato nella giovane un netto rifiuto di incontrare il padre, che ha perduto la potestà genitoriale il 12 ottobre 2017. Foti avrebbe dunque alterato lo stato psicologico ed emotivo della giovane, per ingannare l’autorità giudiziaria. Era stata la stessa difesa di Foti a fornire i video delle sedute con la ragazza per dimostrare l’estraneità di Foti alle accuse. La strategia difensiva però si è rivelata un boomerang: quei video sono stati usati per dimostrare la chiara valenza accusatoria. Di tutto questo, forse, sarebbe bene che la politica tenesse conto quando parla e straparla di Bibbiano.
L'editoriale del direttore