Il ministro dell'Istruzione, Lorenzo Fioramonti (foto LaPresse)

Andare oltre Di Maio

Valerio Valentini

I ribelli e il pallottoliere. Così intorno al ministro Fioramonti si va addensando la galassia degli scontenti del M5s

Roma. Ormai, non gli stanno dietro neppure i suoi. “Hai visto Lorenzo Fioramonti?”. “Oddio, che ha ricombinato?”, si chiedevano, nel cortile di Montecitorio, martedì, alcuni deputati del M5s. “Ha scritto che non sapeva nulla delle modifiche alla legge di Bilancio che riguardano la scuola. “Così – sbuffava Carlo De Girolamo – facciamo proprio la figura dei peracottari”. Che poi è quel che temono, ormai, anche i tecnici del Miur, che si trovano spesso a dovere interpretare il senso delle dichiarazioni improvvide di Fioramonti. Eppure, chi conosce bene le sue intenzioni, specie le più recondite e ancora sottaciute, assicura che c’è del metodo, del calcolo, nelle alzate d’ingegno del ministro dell’Istruzione. E anche la sua reiterata minaccia di dimettersi se non otterrà fondi che sa già di non potere ottenere per il suo ministero (3 miliardi, figurarsi), più che all’eroismo scellerato del kamikaze va ricondotta alla furba premeditazione dell’aspirante martire. Che proprio su quell’atto estremo, così drammatizzato, punta a fondare, all’inizio del prossimo anno, la sua nuova legittimità politica: e insieme a quella, magari, il suo gruppo parlamentare. O, quantomeno, una corrente interna, da inaugurare comunque dopo il varo della legge di Bilancio. 

 

I carotaggi sono già in corso. E a condurli sono in parecchi, tra Camera e Senato: perché è proprio intorno a Fioramonti che si va addensando quella galassia di scontenti del M5s che un tempo guardava con favore a Roberto Fico. Salvo poi dovere arrendersi di fronte all’arrendevolezza del presidente di Montecitorio, troppo ingessato nel suo ruolo istituzionale e troppo riluttante al conflitto per potere scalzare davvero Di Maio dalla guida del M5s. E invece il risentimento nei confronti del capo politico è proprio il collante di questa nuova – l’ennesima – pattuglia di dissidenti. E non è un caso che ad animarla ci sia proprio chi, tra i deputati, viene considerato il più fedele dei fedelissimi di Fico: e cioè quel Luigi Gallo che, forse anche per il suo ruolo di presidente della commissione Cultura, si ritrova a essere ora uno dei confidenti privilegiati del ministro, nonché uno dei più attivi sostenitori delle – spesso scombiccherate – iniziative di Fioramonti. Lo stesso zelo dimostrato, ultimamente, da un’altra inguaribile malpancista, presidente di un’altra commissione, la Finanze: Carla Ruocco è uscita allo scoperto due giorni fa, sposando con un tweet di elogio la crociata di Fioramonti in favore dei fondi alla scuola. Battaglia campale, per Fioramonti, e un po’ strumentale, accompagnata dalla furia del gabelliere: sugar tax, plastic tax, avion tax, tutte tasse “educative” che il ministro propone sin da quando ha avuto in consegna le chiavi di Viale Trastevere senza mai consultarsi coi colleghi di governo, in un inesausto iperattivismo comunicativo fatto di post, interviste e comparsate televisive concordate (pure quelle in solitaria) aggirando il tentacolare staff grillino.

 

E forse è anche in virtù di questa sua ipertrofia dell’ego che il suo nome viene citato di frequente in altri colloqui carbonari, organizzati da chi tesse la trama del dissenso interno da altri fronti. “Sì, si guarda a Fioramonti come a un possibile nuovo leader”, confessa il deputato Andrea Cecconi, ex grillino contattato, come altri, da Massimo Artini, finito pure lui nella gheena degli espulsi, nel 2014, senza però avere deposto le ambizioni di tornare tra gli scranni di Montecitorio. E così il fiorentino Artini da mesi ha iniziato a bazzicare il Transatlantico, e ancora di più le trattorie del centro dove s’è visto, ultimamente, con vari deputati (da Roberto Rossini a Rachele Silvestri), che guardano a lui come all’ufficiale di collegamento tra Roma e la Parma di Federico Pizzarotti, del cui partito – “Italia in comune” – Artini è ormai esponente di spicco.

 

Al Senato, invece, l’incubatrice del dissenso è il gruppo Misto, ormai colonizzato di fuoriusciti del M5s, a cui si è aggiunta due giorni fa Elena Fattori. “Questo gruppo è destinato a dare rappresentanza alla parte più rigorosa del M5s, specie nel campo dell’ambientalismo e dei diritti, che non trova più asilo nel M5s attuale”, spiega Paola Nugnes, “fichiana” reietta. “L’obiettivo? Creare una nuova componente, che sostenga, seppure in maniera critica, il governo”, dice lei, senza sbilanciarsi nell’indicare il nuovo leader. “Fioramonti? Chissà. Sono cambiamenti che ancora non si percepiscono, ma che io auspico”. Ugo Grassi, altro senatore grillino “con la valigia in mano”, vede nel Misto il suo prossimo approdo. Sorride, se gli si nomina Fioramonti. “L’ho sentito di recente, e ci siamo trovati subito in sintonia sull’inutilità dell’Agenzia nazionale per la ricerca. Ovvio: lui, che era professore universitario a Pretoria, è uno di noi”, dice Grassi, ordinario di Diritto privato che da tempo lamenta l’inganno di Di Maio, “che ha usato noi professionisti per raccogliere voti in campagna elettorale e poi ci ha abbandonati”. Di certo, dei professionisti, Fioramonti comprende l’insofferenza alla restituzione di una parte dello stipendio da parlamentare: sarà anche per questo che in tutto il 2019 non ha mai rendicontato nulla.