Sergio Costa (LaPresse)

Il ministro che balla coi lupi

Marianna Rizzini

Chi è Sergio Costa, l’uomo che vuole risolvere la crisi della monnezza a Roma e altri problemi ambientali secondo il verbo eco-oltranzista del “no” (a tutto?)

Roma. “In operoso silenzio”, “ventre a terra”, “mattoncini per costruire un futuro migliore”: così parlò (parla) Sergio Costa, ministro dell’Ambiente indicato dai Cinque stelle a monte di ogni altra indicazione per il governo gialloverde – era l’inverno 2018 e il nome di Costa già circolava tra i desiderata grillini, da quando cioè Luigi Di Maio ne aveva dato annuncio a “1/2 h in più”, su Raitre, presentandolo come nume tutelare di ogni passata e futura indagine sulle “terre dei Fuochi presenti in ogni regione”. E dunque lui, Costa, l’uomo che questa settimana ha fatto balenare l’ondivaga scadenza – dieci giorni? quindici giorni? – per la soluzione dell’emergenza rifiuti a Roma, riunendosi in “cabina di regia” con il sindaco di Roma Virginia Raggi e con il presidente della Regione Lazio e segretario del Pd Nicola Zingaretti, è di per sé una bandiera, e come bandiera deve comportarsi.

 

  

Scelto da Di Maio per il passato da pasionario della Terra dei Fuochi, è di per sé una bandiera, e da bandiera si comporta

Passo indietro: Sergio Costa, già generale di brigata, già comandante regionale (in Campania) del Corpo Forestale, è colui che, dopo lo scioglimento del corpo medesimo via riforma Madia, in un’intervista al Corriere del Mezzogiorno aveva fatto di necessità proclama: “La nostra specializzazione sull’ambiente ci ha consentito di scoprire la Terra dei Fuochi e ora lo Stato ci vuole smantellare”, aveva detto: “Un nostro informatore ci ha raccontato che, il giorno in cui è stato annunciato lo smantellamento, personaggi vicini alle ecomafie operanti tra Napoli e Caserta hanno acquistato dolci e spumante per festeggiare la notizia. Brindare non è un reato, per carità. Ma è un segnale, no?”. Il lessico è parte del tutto, se non tutto: sicuramente Costa parla con parole che mandavano e mandano in brodo di giuggiole l’armata ecogiustizialista del web e i comunicatori di area Casaleggio Associati (in corrispondenza biunivoca e costante con ogni ministro gravitante in orbita Cinque stelle).

  

E non soltanto sul web cerca e trova linfa il ministro, ché Costa indulge spesso e volentieri in giustizialismi ambientali di diversa grandezza e portata (anche, a volte, al limite della non-rilevanza), e spesso e volentieri si spende a favore di chiunque incarni la battaglia anti-industrialista in generale (e – suo pallino – in particolare “plastic free”). Il ministro dunque loda senza posa le eco-operazioni della Guardia costiera e del Noe, ma senza posa ci mette anche – letteralmente – la faccia.

 

La “visione poliziesca” dell’ambiente che i detrattori gli contestano (e che Costa smentisce, quindi confermando)

Ecco infatti che appare in prima persona in video istituzionali per contesto (con occhiali, cravatta e camicia – non in divisa altrui come Matteo Salvini), ma informali per stile e personalizzazione, fino all’estremo della (narcisistica?) ostensione dell’atto firmato. “Salve a tutti”, ha esordito infatti Costa in un ormai virale video sul tema “amianto”: “Oggi mi vedete un’altra volta mentre firmo un atto, uno dei modi per costruire un futuro nuovo… un atto nuovamente importantissimo. Oggi io firmo per un gruppo di lavoro e studio, proposta innovativa che riguarda il settore amianto… faccio un gruppo di lavoro del ministero dell’Ambiente, costruisco un’ossatura della proposta normativa e propongo questa ossatura alla visione del ministero del Lavoro e della Salute. E nel decreto infatti mi sono dato tre mesi. Qual è notizia che riempirà di gioia tutti quanti? Che chi mi ha dato la sua disponibilità per essere presidente di questo gruppo di lavoro è il dottor Raffaele Guariniello, procuratore noto per sue battaglie ambientali, magistrato di grandissimo spessore, eccellenza del paese Italia”. E mentre rassicurava sui costi dell’operazione (Guariniello accetta l’incarico senza compenso), Costa buttava lì, carta e penna alla mano, la frase automotivazionale e di arringa per le folle forse demoralizzate dalle liti gialloverdi: “Noi vogliamo essere leader anche in questo campo. Abbiamo un problema, dobbiamo trovare le soluzioni, e il decreto lo firmo davanti a voi! Noi oggi abbiamo un gruppo di lavoro che ci darà una risposta, e sicuramente sarà una bellissima risposta!”.

   

La comunanza di vedute con l’ex ministro verde Alfonso Pecoraro Scanio, dai termovalorizzatori in giù

E se l’eloquio non mente, la chiave della presa di Costa sulle menti grilline sta anche nel luogo: la Campania, terra di Costa come del vicepremier Luigi Di Maio (da lì viene l’antica comunanza di pathos sull’argomento Terra dei fuochi), nonché di Alfonso Pecoraro Scanio, ex presidente dei Verdi negli anni 2000 ed ex ministro dell’Agricoltura e dell’Ambiente nei governi Amato II e Prodi II. E insomma pare proprio di riconoscere nella linea del ministro Costa l’impronta dell’ex ministro Pecoraro Scanio (di cui Costa fu collaboratore), impronta non dissimulata – anzi – all’ultimo congresso dei Verdi, qualche mese fa, dove Pecoraro si è fatto portatore di un sonoro “ma anche” (“resto verde, ma tifo anche per i Cinque stelle”, ha detto, assicurando altresì di “non cercare candidature” e dichiarando che al momento la questione non era nel suo orizzonte, ma che questo non gli impediva “di sperare” che i Cinque stelle tenessero duro “sul no agli inceneritori, sugli incentivi alle rinnovabili e sul no al Ceta, il trattato con il Canada che svende il made in Italy”). Non cercava candidature, l’ex ministro, ma si è trovato per così dire candidato per interposta persona, tanto più che Costa, una volta nominato, non soltanto si è avvalso della collaborazione, come capo segreteria e come ufficio stampa, di ex collaboratori o estimatori di Pecoraro, come Fulvio Mamone Capria, già presidente della Lipu ed ex segretario particolare del Pecoraro ministro, o come Stefania Divertito, figura dell’ambientalismo campano.

 

Il ministro Costa presenta il progetto #plasticfreeGC (foto LaPresse)


   

Fattosi ministro, infatti, Costa si è messo a dire, senza ombra di dubbio istituzionale, i “no” che contano nell’entourage eco-giustizialista, a cominciare dal niet ai termovalorizzatori, impianti che risolverebbero parte del problema-monnezza a Roma, per ancorarsi invece all’utopico-distopica visione dei “rifiuto zero” che, se messa davanti a ogni altra soluzione non ideologica, rischia di condannare all’immobilismo, con conseguente paradossale aumento dei sacchi inevasi di spazzatura nel frattempo. (E leggenda metropolitana vuole, intanto, che al ministero dell’Ambiente si creino periodicamente sotterranee ma non impercettibili aporie tra visioni non identiche dal punto di vista dell’eco-oltranzismo, per esempio presso alti funzionari come Pier Luigi Petrillo, capo di Gabinetto, e Amedeo Speranza, capo del Legislativo).

 

D’altronde Costa, militare per carriera e pasionario della decrescita felice per vocazione, ha detto “no” anche al Tap, il gasdotto-bestia nera del grillismo su cui il grillismo al governo ha dovuto fare retromarcia per via dei precedenti accordi internazionali – e Costa a quel punto ha virato verso il vade-retro estrazioni, buttandosi a corpo morto nella battaglia contro le trivelle nell’Adriatico. Risultato: uno stop estrattivo e non poche proteste dei lavoratori del settore, bloccati per mesi e preoccupati della prospiciente iper attività croata nel settore petrolifero. Fatto sta che quando si passa dal macro al micro, dalle macro battaglie alle micro battaglie, Sergio Costa non delude chi da lui si aspetta aderenza perfetta al disegno teorico dei gialli governativi. Non ci sarebbe neanche bisogno di marcatura stretta, per mezzo di un controllo informale a distanza su comunicati e altre espressioni verbali, da parte dei vertici a Cinque stelle, attivi tuttavia anche e persino in un caso come il suo: caso cioè di ministro felicemente affetto da sindrome di Stoccolma nei confronti dei grillini che gli hanno rapito il cuore. E poi Costa fa felici anche i nemici della caccia, ché in tema di lupi (e orsi) non ha dubbi, balla coi lupi punto e basta: “Non si uccidono, l’ho sempre detto”, ha ripetuto ai tempi del deposito presso la conferenza Stato-Regioni del cosiddetto “piano Lupo” in ventitré punti, “per gestire la convivenza e mitigarne gli effetti senza abbattimenti”. E quando non sta con i lupi, il ministro Costa si lancia nella “scommessa”, così l’ha chiamata in una recente intervista a “Greenkiesta”, per uscire dalle procedure d’infrazione aperte contro l’Italia dall’Unione europea per la qualità dell’aria, con tanto di “Clean air dialogue”, protocollo-piano d’azione. “Si tenga conto della stima dell’Oim secondo cui in Italia muoiono 80 mila persone a causa dell’aria non di qualità”, diceva il ministro, allarmandosi per “un numero che ti prende lo stomaco”. “Io ho fatto il conto della lavandaia: sono 262 morti al giorno”, diceva, aggiungendo il consueto dettaglio dialettico in prima persona: “Divento ministro dell’Ambiente esattamente un anno fa e sul tavolo mi sono trovo questo fascicolo. Immediatamente sono andato in Europa per negoziare un’exit strategy”.

  

Il “no” al Tap, il “no” alle trivelle, e sì a tutto ciò che sa di decrescita felice, con sindrome di Stoccolma verso il grillismo

Ma mai come sulla sua materia d’origine – e di avvio carriera politica – e cioè mai come sulla Terra dei Fuochi Costa si infervora con toni savianeschi da inferno in terra, da lui percorso con il parroco di Caivano don Patriciello (stile “Gomorra”). Non era ministro, Costa, quando il dibattito cominciò a trattare anche il tema collaterale della “demonizzazione” del comparto agroalimentare campano. Ma la sua evocazione come possibile futuro ministro per i Cinque stelle aveva allarmato allora chi, come il predecessore ex ministro dell’Ambiente nel governo Monti Corrado Clini, intervistato su questo giornale da Alberto Brambilla, esprimeva il dubbio sull’opportunità di “candidare per quel ruolo un generale dei Carabinieri”. Significa, dice Clini, “avere l’idea che l’ambiente è un problema di ordine pubblico, poliziesco, in cui prevale la cultura del sospetto che alimenta il potere di interdizione di politici e burocrazie ambientali contro opere necessarie per la stessa tutela ambientale. Basti pensare all’opposizione agli impianti per la valorizzazione energetica dei rifiuti in regioni dove la malavita organizzata si ingrassa proprio per la mancanza di impianti. E’ l’altra faccia dell’approccio idiota della decrescita (in)felice che è esattamente quello che fa crescere le malavita nel settore ambientale: più blocchi più offri lo strumento a quelli che offrono scappatoie”.

 

Da ministro, però, Costa risponde alle critiche confermando il profilo “eco-oltranzista” per cui viene criticato, inviando ai giornali lettere come quella inviata a questo foglio qualche mese fa: “Voglio smentire categoricamente di aver ‘setacciato campi agricoli in cerca di fusti tossici e radioattivi che non sono mai stati trovati’”, scriveva. “Nelle attività investigative condotte nel territorio posto a nord della provincia di Napoli e a sud di quella di Caserta, la cosiddetta Terra dei fuochi, ho sempre lavorato – prima come generale del Corpo forestale dello stato e poi dei Carabinieri forestali – sotto la direzione dell’Autorità giudiziaria competente che sia la procura ordinaria o la procura distrettuale antimafia. Il protocollo investigativo elaborato riguarda sia la ricerca di rifiuti speciali pericolosi sia la ricerca di rifiuti radioattivi. Ogni scavo prevede che si cerchino entrambi, a tutela dei cittadini e per assicurare i criminali alla giustizia. Finora, fortunatamente, non sono stati rinvenuti rifiuti radioattivi, ma esclusivamente, in quantità considerevole, rifiuti speciali pericolosi… Sono di natura una persona pragmatica e voglio essere giudicato sui fatti. Chi mi conosce sa che non ho affatto ‘una visione poliziesca dell’ambiente’, e penso che gli atti debbano avere come orizzonte esclusivo il bene collettivo”.

  

Se si parla di roghi tossici, in ogni caso, Costa dirà che il “modello Campania” (sottinteso: da lui costruito) funziona alla meraviglia. E sulla base di quel modello, a proposito dei roghi, ha annunciato la presentazione di un disegno di legge dal nome eloquente: “Terra mia”. Misura, ha detto Costa, “repressiva e preventiva” che va “oltre la legge sugli eco-delitti e preme sul daspo ambientale”. Tutto il resto, per ora, si consuma nel fuoco, non soltanto metaforico, della diatriba romana sui rifiuti. Ultime parole famose del ministro: “Stiamo negoziamo per mandarli anche all’estero”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.