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Il M5s va alla battaglia sulla Rai e poi non sa più come uscirne

Marco Marini

Vigilanza più pazza del mondo. Girandola di pasticci e semiripicche dei grillini contro i leghisti su Foa. Ascari scalcianti

Roma. Il pasticcio va in scena all’alba. Quando la commissione di Vigilanza Rai si riunisce per l’ennesima volta, dopo diversi rinvii, per votare sull’incompatibilità del presidente Marcello Foa a detenere anche la carica di presidente di RaiCom, la consociata di Viale Mazzini che ha il compito di vendere i prodotti e i diritti della tv pubblica nel mondo. Dopo una prima risoluzione presentata dal Pd, che parla espressamente di incompatibilità tra le due cariche secondo la legge di riforma della Rai del 2015, se n’era aggiunta una assai simile dei 5 Stelle per chiedere la stessa cosa: le dimissioni di Foa da RaiCom. Con prese di posizione assai nette dei principali esponenti grillini in commissione, Primo Di Nicola e Gianluigi Paragone. La scelta di rinviare il voto a dopo le europee, però, già aveva fatto presagire aria di pastetta tra le due forze di governo, con la Lega schierata a testuggine in difesa del presidente e l’M5S pronto ad abbozzare.

    

Così martedì sera l’accordo tra i due partiti era stato raggiunto, con un emendamento leghista alla mozione pentastellata, a firma di Massimiliano Capitanio, che in pratica la svuotava, tornando indietro sull’incompatibilità e le dimissioni di Foa. Due i punti salienti. L’emendamento impegna “il Cda Rai a vigilare affinché non vengano attribuite a Foa deleghe gestionali in seno a RaiCom” e “impegna altresì la Rai a controllare che RaiCom operi in coerenza con i principi del contratto di servizio”. Inoltre, per Foa niente cumulo di stipendi, anche se lui ha già rinunciato a quello di RaiCom. Secondo il Pd, invece, ma pure secondo la mozione pentastellata prima maniera, a Foa dal Cda Rai “possono essere attribuite deleghe solo su relazioni esterne, istituzionali e controllo interno”.

   

Insomma, accettare l’emendamento leghista per Luigi Di Maio è un colossale dietrofront. E infatti il cortocircuito esplode questa mattina, con i grillini spaccati tra chi vuole l’accordo col Carroccio e chi vuol tirare dritto. Tra di loro va addirittura in scena una votazione in strada, in via Del Seminario, davanti a Palazzo San Macuto, sede della Vigilanza, per verificare i numeri. La parte pro Lega ha la maggioranza, ma gli altri non mollano e si mettono pure a litigare. Una piazzata. In questo tira e molla paradossale s’innesta anche la questione Radio Radicale. Perché proprio negli stessi minuti, nelle commissioni Bilancio e Finanza della Camera, nasce un’intesa tra Pd e Lega per salvare l’emittente fondata da Marco Pannella, con il Carroccio che vota con l’opposizione. Succede che, all’interno del decreto crescita, coi voti leghisti passa un emendamento del Pd a firma Sensi e Giachetti che concede alla radio un finanziamento di altri 3 milioni per il 2019. Il governo, con il viceministro dell’Economia Laura Castelli, dà parere contrario, ma la misura passa e l’esecutivo va sotto, con solo i 5 Stelle contrari e Di Maio su tutte le furie. “La Lega dovrà spiegare agli italiani perché ha votato questa indecente proposta del Pd!”, tuona il vicepremier via Facebook.

   

Qualche istante dopo i pentastellati, che nel frattempo sono entrati nell’aula della Vigilanza per votare insieme alla Lega (ma senza la certezze dei numeri), si alzano e se ne vanno. “Hanno ricevuto un ordine preciso dopo il salvataggio leghista di Radio Radicale”, sussurra malizioso un senatore dem. “Parlamento bloccato e umiliato!”, attacca Michele Anzaldi del Pd. “Roba da psichiatria politica o neurodeliri”, la diagnosi di Forza Italia. “C’è stata una mancanza di rispetto per la commissione che non intendo ulteriormente tollerare!”, si strugge anche uno solitamente pacato come Alberto Barachini. Insomma, un gran casino. E ora per la maggioranza, anche il caso Foa, che sembrava una quisquilia, diventa un problema da cui non sarà facile uscire.

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