(Foto LaPresse)

Fenomenologia della sezione Mazzini

Francesco Cundari

Da D’Alema a Zingaretti. Storie e personaggi del luogo simbolo della gauche italiana

Alle analisi di questi giorni su formazione e punti di riferimento, rapporto con il passato e idee sul futuro del nuovo segretario del Pd, bisogna aggiungere un non secondario dettaglio di topografia politica: anche Nicola Zingaretti, come già Massimo D’Alema (fino alla scissione) e come Matteo Orfini (che ne è stato a lungo segretario), è iscritto alla sezione Mazzini. Situata al centro del quartiere Prati (rione Delle Vittorie, per essere precisi), a due passi da Piazza Mazzini, tre dalla sede Rai e quattro dalla città giudiziaria (motivo per cui ha accolto nel corso del tempo anche fior di attori e fior di avvocati), la sezione Mazzini è stata a lungo considerata il fiore all’occhiello del partito romano. Specialmente dai membri della sezione Mazzini.

 

Ma non solo. “Sono stato nell’Atene del Pci”, si raccontava che avesse detto Antonio Cederna, dopo avere partecipato a un’iniziativa in quella sede, peraltro assai umida e tutt’altro che accogliente. Fino alla decisione dell’Inail di venderne i locali – cui seguì una lunga diaspora per il quartiere, conclusa dalla fusione con la sezione Trionfale – si trattava infatti di uno scantinato stretto e lungo, che faceva un effetto a metà tra il rifugio antiaereo e la stazione della metropolitana. La sua centralità politico-culturale era figlia, anzitutto, di una centralità urbanistica: esattamente a metà strada tra il bar Vanni (vera sede del partito-Rai) e il bar Antonini (vera sede del partito degli intellettuali), dove, per dirne uno, non era raro incrociare Nanni Moretti.

 

Un regista che, comunque la si pensi sulle sue posizioni politiche e sul suo impegno civile, alla centralità politico-culturale del quartiere Prati ha dato un contributo che non si può sottovalutare. “Quando uscì Ecce Bombo – ha raccontato – molti dicevano che era troppo un film su Roma, anzi troppo un film su Roma nord, anzi troppo sul quartiere Prati, anzi troppo su piazza Mazzini”. In sezione avrebbero obiettato che non era un difetto, e senza dubbio ne avrebbero spiegato la ragione con una sola parola: egemonia.

 

Feudo della sinistra interna ai tempi del Pci, tempi in cui il leader della sinistra comunista era Pietro Ingrao (sua figlia Celeste è stata anche segretaria della sezione), non è mai stata terreno facile per nessuno. Negli anni novanta, una delle prime notizie di cui veniva informato il neoiscritto (a quella che era ormai una sezione del Pds) consisteva nel fatto che lì “aveva vinto il No”. Intendendo, ovviamente, non il referendum costituzionale del 2016, ma il voto al congresso della Svolta, sulla scelta di cambiare nome al Pci. Gigantesco processo di autoanalisi collettiva che proprio Nanni Moretti immortalò in un famoso documentario: “La Cosa”.

 

Per una breve stagione – nei primi anni duemila – intorno alla sezione Mazzini si anticiparono persino future unificazioni. Si trattasse di autentica innovazione politica o di un più pratico tentativo di fare di necessità virtù, dovendo abbandonare i vecchi locali, per qualche tempo si produsse nel quartiere Prati una singolare forma di unificazione delle sezioni, tra Ds, Socialisti e Comunisti italiani. Per l’occasione, bizzarrie e ricorsi della simbologia di sinistra, si decise di dare all’associazione il nome di Rosa nel pugno (niente a che fare, comunque, con la successiva lista elettorale radical-socialista del 2006).

 

La sezione Mazzini ha organizzato tornei di calcetto e di biliardino (per i non romani: sì, sono due cose diverse), cineforum e seminari, ma anche visioni collettive del Grande fratello. Tuttavia, l’idea di essere un po’ l’Atene del partito non è mai venuta meno. In quelle stanze umidissime si sono incrociati il regista Carlo Lizzani, il “Medico in famiglia” Giulio Scarpati e il presidente dell’Istituto Gramsci Giuseppe Vacca, si è discusso di cultura nazionalpopolare e di filosofia della praxis.

 

Oggi probabilmente tutto questo finirebbe tra i capi d’accusa, stigma sociale da rinnegare o dissimulare, marchio d’infamia di una sinistra lontana dal popolo, aristocratica e “radical chic”. Ma a suo tempo, perlomeno nel microcosmo della sinistra romana, prevaleva ancora un’idea della politica come “prima e più nobile delle discipline intellettuali”, e certo a nessuno sarebbe venuto in mente di contrapporre intellettuali e popolo. Ma questo è un problema che ha altre origini, e le cui conseguenze vanno molto oltre i confini del quartiere Prati.

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