Salvini e Zingaretti (foto LaPresse)

Il Pd che si rianima mette Salvini di fronte al vecchio bipolarismo

Salvatore Merlo

“Bentornati vecchi comunisti”. Anche Berlusconi è contento: è tornato il caro vecchio nemico. E così forse le elezioni europee di maggio si trasformano in elezioni di sistema

Roma. C’è qualcosa di nemico e ancora di complice, negli occhi, nei gesti, nelle parole che li rivelano avversari eppure alleati in un medesimo codice. “Buon lavoro al nuovo segretario”, gli dice infatti Matteo Salvini, come neanche nella migliore tradizione primorepubblicana. E Nicola Zingaretti, teneramente provocatorio: “Ci vediamo nelle urne”.

   

Bentornato bipolarismo, dunque. E soprattutto bentornato caro vecchio nemico.

 

Anche Silvio Berlusconi ieri mattina era contento, “finalmente possiamo tornare a dire che sono dei poveri comunisti”, sorrideva. Mentre nel pomeriggio il Transatlantico di Montecitorio sembrava il mar dei Sargassi, lì dove le anguille vanno a riprodursi: ecco Piero Fassino, chissà dov’era finito, e poi Dario Franceschini con lo zainetto… tutti con la giubilante certezza d’essere liberi e vivi. “Dov’è Bersani?”. “Ci manca solo D’Alema!”. Su un divano, Gianni Cuperlo sorride, lui non se n’è mai andato dal Pd. E ha avuto ragione. Ma forse gli altri ritornano, in qualche modo, è tornato persino Zagrebelsky.

  

Così il nome del nuovo segretario Zingaretti, gli spasmi di vitalità del centrosinistra, le elezioni in Sardegna e in Abruzzo, persino i sondaggi che adesso danno il Pd a un passo dal pareggio con il M5s alle europee, tutto l’insieme di queste cose scintilla agli occhi del centrodestra, di Salvini e anche di Berlusconi, come una promessa di felicità. Un elemento di chiarezza. “Siamo destinati a separarci dal M5s”, diceva quasi un anno fa Lorenzo Fontana, il ministro leghista, preconizzando una nuova forma di bipolarismo con i grillini. Ma forse non è così che andrà.

   

Ritorna il centrodestra al governo? “Tra cinque anni”, risponde Salvini alla Camera, diplomatico, ché il patto con Luigi Di Maio non si tocca. Ma qualcosa è successo, è avvertibile come una scarica elettrica nell’aria. E allora le elezioni europee di maggio, che dovevano essere il sigillo sul trionfo del sovranismo continentale, la marea che si abbatte sull’Unione europea per rivoltarla da capo a piedi, all’improvviso assumono per tutti i protagonisti sul proscenio un significato affatto nuovo e si trasformano in elezioni determinanti per l’assetto della politica italiana. Elezioni di sistema. Salvini può ritrovare un avversario di sinistra che sembra incarnare tutto ciò di cui ha bisogno la sua propaganda, e Berlusconi intravede l’occasione per rendersi indispensabile alla Lega, centrale seppur minoritario, in un gioco che costringe alle grandi alleanze dei tempi passati, dell’Ulivo e della Casa delle libertà. “Ci basta il 10 per cento”, dicevano ieri alcuni deputati di Forza Italia, contenti per Zingaretti neanche avessero vinto loro le primarie.

  

Salvini si misurerà alle europee per capire se può completare l’egemonizzazione della destra, e Berlusconi cercherà di fare abbastanza da dimostrargli che per battere la sinistra bisogna coalizzarsi. Il 27 marzo ricorrono i venticinque anni dalla vittoria napoleonica del 1994, la nascita della Seconda Repubblica e del bipolarismo. Sembrava finita. E invece forse non è così.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.