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Il familismo amorale al contrario degli M5s

Luciano Capone

Babbo Di Maio, fidanzato Sarti. I grillini sono disposti a tutto, anche a sputtanare i parenti per salvarsi

Roma. Prima Luigi Di Maio con il padre e poi Alessandro Di Battista, sempre con il padre, e ora Giulia Sarti con il fidanzato. Il caso della presidente della commissione Giustizia, dimissionaria per aver ingiustamente denunciato il fidanzato per uscire da uno scandaletto di rimborsi, indica un punto di svolta nella politica italiana. O quantomeno segnala una diversità dei politici del M5s nel rapporto con i congiunti.

   

I rapporti affettivi – in un paese dove il familismo è una guida nei comportamenti sociali – hanno sempre avuto un peso nella costruzione di carriere politiche. E non di rado sono stati la causa di colpi definitivi alla reputazione di leader politici. Nella storia repubblicana vere tragedie nazionali si sono intrecciate con drammi familiari. Basti pensare al caso Montesi negli anni ’50: per la morte di una donna venne accusato tra gli altri Piero Piccioni, figlio dell’allora ministro degli Esteri e fondatore della Dc Attilio. Alla fine il figlio viene assolto, ma il grande caso mediatico di cronaca nera travolge la figura politica di Piccioni. Oppure al caso Donat-Cattin negli anni ’80, quando si scopre che Marco, figlio del vicesegretario della Dc, è un terrorista di “Prima linea” responsabile dell’omicidio del giudice Emilio Alessandrini: Carlo Donat-Cattin si dimette da tutti gli incarichi. In mezzo ci sono Gianfranco Fini con la moglie e la casa di Montecarlo, Clemente Mastella e l’arresto della moglie, Maria Elena Boschi e l’indagine sul padre, Matteo Renzi e i guai giudiziari dei genitori.

      

Ognuno – a torto o a ragione e nella diversità dei casi, ma non è questo che importa – ha pagato un prezzo politico per queste vicende. Ma tutti hanno tutelato i familiari. La diversità antropologica, o morale, dei Cinque stelle è che tra la carriera e la famiglia non hanno dubbi: per salvare faccia e poltrona Di Maio espone il padre a un video-autodafé e la Sarti manderebbe il fidanzato in galera.

   

Il vero salto di qualità in queste storie così diverse e distanti, non è tanto il passaggio dalla tragedia del terrorismo alla farsa dei bonifici falsi sui rimborsi del proprio stipendio, né il drammatico silenzio dei Piccioni e dei Donat-Cattin rispetto alle odierne risposte sui social network. Questi sono i tempi che cambiano. Anche Gianfranco Fini, all’epoca presidente della Camera, tentò di uscire dall’angolo dello scandalo immobiliar-familiare con un video messaggio: “Mi chiedo chi è il vero proprietario della casa di Montecarlo. E’ Giancarlo Tulliani? Non lo so. Lui lo ha sempre negato. Ma se dovesse emergere che è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita mi dimetterei. La mia etica pubblica me lo imporrebbe”. Non sappiamo cosa sapesse o non sapesse Fini di quella faccenda, ma cercò di tenere insieme tutto – famiglia e politica – esponendosi in prima persona. L’esatto contrario di Luigi Di Maio, che ha costretto il padre – non un cognato – a un’umiliante video-confessione: “Chiedo scusa per gli errori che ho commesso, chiedo scusa alla mia famiglia, mio figlio Luigi non ha la minima colpa e non era a conoscenza di nulla”, dice il signor Antonio. Sono andati a Pomigliano, gli hanno puntato la telecamera e lo hanno costretto a leggere una lettera “come in una triste parodia dei funzionari stalinisti”, ha scritto Salvatore Merlo. Per poi pubblicare il video su una pagina Facebook a nome Antonio Di Maio, creata appositamente e che ancora oggi ha solo quel contenuto. E non che non fosse capitato ai familiari dei politici esporsi per difendere i propri congiunti. E’ memorabile l’intervista del figlio di Mastella che affrontò in pieno scandalo giudiziario (chiuso con assoluzione) le telecamere, sempre delle Iene, per dire: “La mia famiglia non è quella che descrivete, io non sono il figlio del boss”. Nessun leader politico ha però consentito prima che un figlio o un padre si presentasse in pubblico a prendersi tutte le colpe per salvarlo.

    

Ma con la Sarti si va oltre. Accusata di essersi tenuta i propri soldi, qualcosa che è indecente solo nel M5s, e di fronte al rischio di espulsione per indegnità, la deputata – dopo essersi consultata con il vertice del partito – per salvare una carriera politica fondata sul moralismo, denuncia il fidanzato sapendolo innocente. E poi, in un trionfo di immoralità e idiozia, lo avvisa: “Teso’, mi hanno chiesto di denunciarti per uscire da questa storia”. Può darsi che i “vecchi politici” non avessero quattro quarti di onestà, ma chi spinge il padre a un’umiliazione pubblica o tenta di mandare il fidanzato in galera per difendere il proprio status, è una persona che per soldi e potere è disposta a tutto.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali