Un'immagine di archivio della campagna referendaria a favore dell'acqua pubblica (foto LaPresse)

“Il ddl sull'acqua pubblica è invotabile”, ci dice il sottosegretario Gava (Lega)

Valerio Valentini

Per l'esponente leghista il disegno di legge promosso dal M5s “non porterà alcuna riduzione dei costi per gli utenti”

Roma. Già il nome sembra infastidirla. “Basta con questo slogan”, dice infatti Vannia Gava (foto a sinistra), sottosegretario leghista all’Ambiente, appena le si chiede un parere sul disegno di legge portato avanti dal M5s. Quello ribattezzato, appunto, “acqua pubblica”. “Si è creato un grande equivoco, perché l’acqua è già pubblica”, dice la Gava, quarantatreenne friulana di Sacile, citando, chissà quanto consapevolmente, il titolo di un recente dossier elaborato dall’Istituto Bruno Leoni. “E’ già pubblica ed è pure gratuita”, aggiunge, “perché nessuno paga l’acqua come materia prima. Ciò che i cittadini pagano attraverso la bolletta, è un servizio complesso che va dalla captazione alla potabilizzazione, al trasporto, alla depurazione. E francamente, io ho forti dubbi che questo disegno di legge porterà al miglioramento della qualità delle prestazioni. Sono invece assolutamente certa che non ci sarà una riduzione dei costi per gli utenti”. Sentenza che insomma appare inappellabile: “Per noi, così com’è, questo ddl è invotabile”, scandisce infatti la Gava.

 

Sembrava se ne fossero convinti perfino i grillini, giovedì scorso, quando si erano mostrati ben disposti ad accogliere alcune correzioni di stampo leghista al testo firmato dalla deputata Federica Daga, da sempre vicina ai Forum dell’Acqua. Si era scomodato perfino Riccardo Fraccaro, ministro per i Rapporti col Parlamento, per sollecitare un ripensamento, per invitare alla cautela, a rivedere alcune esagerazioni previste dal provvedimento allo studio della commissione Ambiente della Camera. Invece, a sorpresa, gli stessi deputati del M5s sono tornati a invocare “una approvazione in tempi rapidi della nostra proposta”.

 

“E invece sarà ancora lunga”, ribatte la Gava, a cui già ai tempi dello scontro sulle trivelle era toccato l’ingrato compito di tentare di arginare le velleità ambientaliste a cinque stelle. “Si parte, obiettivamente, da due visioni opposte. E dunque servirà trovare una mediazione a livello politico. Quel che è certo, però, è che il testo va cambiato”. E va fatto, aggiunge il sottosegretario dando voce ai timori già espressi per via informale dalla Ragioneria generale dello stato, anche per evitare problemi di coperture finanziarie. “Il testo, così com’è, è potenzialmente disastroso dal punto di vista della tenuta economica. Prefigura un costo sicuro per le casse dello stato, specie se venisse confermata la proposta di fare decadere anticipatamente le concessioni in essere: in quel caso, gli indennizzi da riconoscere ai gestori costituirebbero un esborso significativo”.

 

I grillini, però, dicono di volere “trasformare in investimenti i soldi delle bollette”. E qui la Gava non ci sta. “Il testo base stabilisce un limite massimo di dieci anni per la durata delle future concessioni: ma è assolutamente assurdo. Nessuno ci rientrerebbe coi costi, in un arco di tempo così ristretto. Dopodiché, il 95 per cento degli italiani sono già serviti da gestori a controllo pubblico: si evoca insomma una privatizzazione che non esiste, e sulla base di questa convinzione ideologica si rischia di smantellare un sistema che nel complesso funziona abbastanza bene. Bisogna intervenire su alcune storture, su alcune inefficienze, ma non certo mettendo a repentaglio la tenuta dell’intero complesso di servizi. Dopodiché, nel di segno di legge si prevede un sostanziale trasferimento al governo nazionale dei poteri sulla definizione delle tariffe. Il che equivarrebbe a depotenziare Arera, che è una authority seria, per la quale abbiamo da poco completato la discussione per la nomina dei nuovi vertici. Insomma, una visione centralista che di certo non porterebbe a valorizzare i modelli virtuosi, e non dà alcuna garanzia nel miglioramento di quelli meno positivi”.

E dunque? “E dunque servirà una mediazione, e alla fine una soluzione la si troverà. Ma che il testo vada cambiato, questo è certo”.

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