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C'è un'ideologia dietro alla tempesta perfetta

Claudio Cerasa

Non fatevi fregare: l’Italia va verso il naufragio non per ciò che divide Salvini e Di Maio ma per ciò che li unisce

Quando un temporale è in arrivo, le persone accorte cercano generalmente di fare qualsiasi cosa per evitare i fulmini, riparandosi dalla pioggia, allontanandosi dalle sorgenti d’acqua, restando lontani dai conduttori di elettricità, sbarazzandosi degli oggetti appuntiti, stando bene attenti a non avvicinarsi per nessuna ragione ai tralicci dell’alta tensione. In un certo senso, l’Italia di oggi si trova nelle stesse condizioni di una persona che vede formarsi all’orizzonte delle minacciose nubi e piuttosto che fare di tutto per evitare la tempesta fa di tutto per avvicinarsi al temporale e attirare su di sé i fulmini in arrivo dal cielo. Purtroppo per noi, l’Italia di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio non è simile all’Italia allegra, spensierata, fiduciosa e rigogliosa raccontata ogni giorno dalla Casalino Associati a colpi di veline rifilate a giornali e telegiornali amici ma è più simile all’Italia descritta negli ultimi giorni dal Fondo monetario internazionale e dalla Commissione europea, che nel giro di poche ore hanno ricordato quello che il governo si ostina a non voler vedere: le conseguenze nefaste prodotte sull’economia dalle politiche del cambiamento.

  

Mercoledì l’Fmi ha rivisto al ribasso la crescita italiana per il 2019, allo 0,6 per cento, e ha segnalato che l’instabilità del nostro paese rischia di essere una minaccia per l’economia globale. Ieri, invece, la Commissione europea ha tagliato di un punto le previsioni sul 2019, passando dal +1,2 di novembre al +0,2 di oggi, previsione di crescita più bassa di tutta l’Eurozona. Dopo aver comunicato i dati, il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, ha tenuto a precisare che i fattori legati al rallentamento della crescita italiana non dipendono solo dalla frenata della crescita globale, dal temporale in arrivo, ma dipendono anche “dall’incertezza sulle politiche economiche che ha avuto ripercussioni negative sulla fiducia delle imprese e sulle condizioni finanziarie”, ovvero dal modo in cui l’Italia, di fronte alla pioggia, ha deciso di andare in cerca di guai.

    

L’appunto del magnifico Dombrovskis ci dà il pretesto di ragionare su un aspetto importante della fase storica vissuta dal nostro paese che misteriosamente molti osservatori fanno finta di non ricordare. Ci si concentra spesso e anche giustamente su ciò che divide i due azionisti del governo del cambiamento – e su tutto ciò che, dal Venezuela fino all’Alta velocità, sembra allontanare sempre di più Luigi Di Maio da Matteo Salvini. Ma ciò che forse andrebbe notato con maggiore attenzione rispetto alla traiettoria dei due gemelli diversi del populismo italiano è che le divisioni non sono la causa dei problemi del nostro paese ma solo l’effetto. Le cose in Italia non vanno male perché Salvini e Di Maio sono divisi: vanno male perché Salvini e Di Maio hanno mostrato una grande sintonia nel fare tutto ciò che era necessario fare per lasciare l’Italia senza ombrello di fronte al prossimo temporale. E in questo senso, concentrarsi su ciò che unisce Lega e Movimento 5 stelle è più importante e più rilevante per capire i guai dell’Italia, molto di più di perdere troppo tempo a comprendere cos’è che separa Salvini da Di Maio.

   

L’Italia di oggi è diventata di nuovo vulnerabile grazie alle politiche comuni messe in campo da Lega e Movimento 5 stelle sul debito pubblico, e chissenefrega di abbassarlo; sul lavoro, e chissenefrega della flessibilità; sulle pensioni, e chissenefrega della spesa pubblica; sulle tasse, e chissenefrega della pressione fiscale; sulla sostenibilità dei nostri titoli di stato, e chissenefrega se da cinque mesi nessuna banca italiana fa più ricorso all’emissione di obbligazioni sul mercato libero; sulla affidabilità del nostro sistema finanziario, e chissenefrega dello spread tornato a 280 e chissenefrega della Borsa di Milano che ieri ha chiuso a meno 2,5 punti; sulle alleanze internazionali, mettiamoci i gilet gialli e chissenefrega se uno dei primi due partner commerciali dell’Italia in Europa, ovvero la Francia, convoca il suo ambasciatore in seguito “agli attacchi senza precedenti del governo italiano”. Naturalmente, ci sono molte differenze tra il partito di Balconaro e quello di Cialtronaro e ci sono molte differenze tra la stoffa politica di Di Maio e quella di Salvini. Ma la verità è che lo spettacolo a cui sta assistendo l’Italia oggi è tipico di un paese che ha scelto di trasformare la scorciatoia del complottismo – è sempre colpa degli altri, è sempre colpa di quelli che ci stavano prima, è sempre colpa dei tecnici, è sempre colpa dei burocrati, è sempre colpa dei francesi, è sempre colpa dei Savi di Sion – nel vero collante del cambiamento populista. Un politico, diceva Abramo Lincoln, può ingannare tutti per un po’, può ingannare qualcuno per sempre ma non può ingannare tutti per tutta la vita. Chi vigila sui nostri conti, il bluff del populismo lo ha capito da tempo. E’ tempo forse che se ne accorgano anche gli elettori, a meno di non voler essere loro a ritrovarsi improvvisamente sotto un temporale con una mano attaccata ai tralicci dell’alta tensione. Wake up, please.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.