Il sottosegretario Luciano Barra Caracciolo con Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Il criceto di Savona

Luciano Barra Caracciolo, il sottosegretario che vuole rosicchiare i pilastri dell'Ue

Luciano Capone

Il numero due agli Affari europei vuole uscire dall’Euro, paragona l’Unione al nazismo e con Bruxelles parla solo italiano

Roma. La sua intervista, al quotidiano la Verità, in cui annunciava la necessità del “veto” italiano al bilancio europeo era stata cancellata dal sito del ministero. Forse sono stati i “Criceti di Satana”, contro cui si scaglia su Twitter, quegli esseri non meglio identificati che “col loro globalismo irenico promuovono il tribalismo malthusiano omicida mirando a pulizie etniche su scala mondiale per assecondare i bisogni edonistici di élite sociopatiche”. Fatto sta che l’intervista del sottosegretario agli Affari europei Luciano Barra Caracciolo ieri è ricomparsa sul sito del ministero: “Davanti a un bilancio che ha costantemente enunciato titoli e obiettivi altisonanti, ma non realizzati, porre un veto diventa un modo serio per ridiscutere l’assetto europeo”, ha detto il braccio destro (in quota Lega) del ministro Paolo Savona.

 

Si tratta di una posizione rilevante, perché finora il veto sul bilancio pluriennale 2012-’27 era stato evocato dai leader politici Di Maio e Salvini come leva negoziale sulla questione migranti e poi nella trattativa sulla legge di Stabilità, ma non è la posizione del governo italiano. Mai la parola veto è stata pronunciata negli incontri ufficiali, né dai singoli ministri né dal premier Conte che lo scorso 13 dicembre – al culmine della trattativa con Bruxelles – al Consiglio europeo ha espresso la necessità di fare miglioramenti al bilancio pluriennale all’interno di un dialogo costruttivo.

 

La posizione a favore del veto sul budget europeo è una novità, ma non meraviglia che provenga dal vice di Savona, l’esponente più antieuropeista dell’esecutivo, un personaggio che nella sua attività pubblicistica paragona continuamente l’europeismo al nazismo. 

 

Barra Caracciolo è uno dei tanti magistrati del Consiglio di stato tornati con il governo gialloverde a occupare posizioni di rilievo, ma tra i tanti è l’unico a sostenere l’incostituzionalità dei Trattati europei: il Trattato di Maastricht e tutte le altre norme alla base dell’Unione europea violerebbero l’articolo 11 della Costituzione e pertanto dovrebbero essere ripudiati. Perché alla fine l’Unione europea è un po’ come il nazismo: “Il documento von Ribbentrop sulla federazione degli stati europei – tolto qualche riferimento al Führer, al reclutamento di nuove divisioni SS e di qualche altro dettaglio –, potrebbe essere tranquillamente trasposto su carta intestata della Commissione, come sintesi della strategia di scenario a sostegno dei vantaggi dell’euro”, ha scritto sul suo blog. Non è l’unica posizione bizzarra. Barra Caracciolo dà credito a teorie in voga nel sottobosco cospirazionista: dalla “Hazard Circular” – una presunta lettera di metà Ottocento di banchieri inglesi nella quale si sosterrebbe che l’abolizione della schiavitù in America sarebbe stata sostituita dalla schiavitù attraverso il controllo della moneta – fino al “piano Kalergi” – un progetto eugenetico pacifico per sopprimere la diversità dei popoli attraverso il pan-europeismo (i “Criceti di Satana” non si capisce cosa siano, ma con il loro “tribalismo malthusiano omicida” dovrebbero inserirsi in questo filone psichiatrico-narrativo).

 

Queste posizioni fanno di Barra Caracciolo un convinto sostenitore dell’uscita dall’euro, che secondo lui non è una cosa poi così tanto complicata: “Sull’Eurexit – diceva in uno dei convegni organizzati dal sodale Alberto Bagnai, presidente della commissione Finanze al Senato – senza bisogno di ricorrere a particolari complicazioni, basta scrivere una lettera e dire: ‘Io ritengo che non posso rimanere nei criteri, di conseguenza revoco il mio consenso espresso in data tal dei tali’”. Semplice: si invia una raccomandata, come per disdire l’abbonamento telefonico. La medesima convinzione sulla necessità di abbandonare l’Unione monetaria era stata espressa durante il famoso convegno alla Link Campus sul Piano B, presentato proprio da Savona che poi lo ha scelto come suo sottosegretario.

 

Che l’accoppiata Savona–Barra Caracciolo sia responsabile del dipartimento per le Politiche europee è più sorprendente di Luigi Di Maio al ministero del Lavoro. Da parte loro si è trattato di una scelta strategica: dopo il veto del presidente Mattarella su Savona all’Economia, il ministero degli Affari europei era sembrato il posto ideale per gestire le trattative con Bruxelles e controllare da una posizione intermedia sia Giovanni Tria (Mef) sia Enzo Moavero (Farnesina). Il dipartimento degli Affari europei doveva quindi essere una specie di cabina di regia per ridisegnare la governance europea, elaborare la strategia italiana e scrivere la manovra (c’era la convinzione che Barra Caracciolo, con le sue supposte abilità giuridiche, sarebbe riuscito a inserire una clausola per lo scorporo degli investimenti dal rapporto deficit/pil).

 

In realtà le cose sono andate diversamente e lo si è capito al momento dell’assegnazione delle deleghe, che hanno svuotato di competenze il ministero di Savona. Conte – in accordo con il Quirinale – ha assegnato la delega per il Consiglio Affari generali, che è il consesso in cui in Europa si preparano i lavori e si prendono le decisioni più importanti, al ministero degli Esteri Moavero. Questo vuol dire che Savona e il suo ministero sono completamente tagliati fuori dai dossier che contano. Con esiti paradossali, perché il predecessore di Savona nei governi Renzi-Gentiloni, Sandro Gozi, era un sottosegretario ma aveva la delega che ora è di Moavero e quindi poteri più ampi di Savona e Barra Caracciolo messi insieme.

 

Su questo fronte, in mano a Moavero e al rappresentante permanente a Bruxelles, i due eroi del mondo no euro non toccano palla. Ma anche sul resto le cose non vanno meglio. Savona si è molto impegnato nell’elaborazione del documento “Politeia”, un progetto di riforma della governance dell’Unione monetaria. Ma purtroppo, come lui stesso ha ammesso, il suo lavoro non è stato preso in considerazione da nessuno, in parte per il contenuto che è completamente estraneo al dibattito in corso, e in parte perché la sua proposta prevede la costituzione di un gruppo di alto livello per discutere di cose di cui si occupa già l’Eurogruppo (e quindi Tria).

 

La marginalità senza precedenti del dipartimento per le Politiche europee, che non è presente dove dovrebbe essere e vuole andare dove non c’è nessuno ad ascoltarlo, non dipende solo dall’esclusione dalle stanze che contano, ma anche dal fatto che in Europa sono praticamente degli sconosciuti. Savona e Barra Caracciolo, secondo il sito del ministero, in sei mesi sono andati una sola volta a testa in Europa: uno a Strasburgo, l’altro a Bruxelles. Oltre a non dialogare di persona con l’amministrazione europea, Barra Caracciolo con una scelta “sovranista” avrebbe interrotto la consuetudine delle videoconferenze con Bruxelles in lingua inglese che si tenevano una volta a settimana: sono state sostituite con la corrispondenza scritta in lingua italiana. E’ sicuramente una cosa negativa che l’Italia sia più isolata, ma ha i suoi risvolti positivi: in Europa nessuno sentirà un sottosegretario parlare in videocall di “Criceti di Satana”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali