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Inps e Anpal ci spiegano perché il reddito di cittadinanza alla Siri non può funzionare

Valerio Valentini

La Lega propone di affidare la regia del reddito di cittadinanza all’ente di Boeri. Che non fa, però, politiche attive. M5s silente. Perché Boeri (Inps) e Del Conte (Anpal) smontano l’ultima trovata della Lega sul reddito

Roma. Ultima venne l’Inps, dunque. E forse, certo, era fatale che alla fine – dopo i centri per l’impiego e gli assessorati regionali, dopo i Caf e le agenzie interinali, dopo le imprese piccole medie e grandi – venisse tirato in ballo anche l’istituto guidato da Tito Boeri, per la realizzazione del reddito di cittadinanza. La proposta, anche stavolta, è arrivata da Armando Siri, sottosegretario ai Trasporti ma gran consigliere di Matteo Salvini sui temi fiscali. “In attesa della riforma dei centri per l’impiego – ha dichiarato ieri al Corriere della Sera – si potrebbe coinvolgere l’Inps per incrociare beneficiari e imprese che si offrono di erogare la formazione”. Suggerimento bizzarro, a ben vedere, almeno a giudicare dallo stupore con cui è stato accolto ai piani alti dell’Inps. Dove, manco a dirlo, nulla si sapeva di questa ipotesi allo studio del governo. “Nessuno ci ha detto nulla”, spiegano nello staff di Boeri. E lo stupore che i tecnici dell’Inps nascondono a stento appare evidente anche nelle parole di Maurizio Del Conte, presidente di Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive che dovrebbe coordinare, secondo il progetto originario del M5s, il dialogo tra imprese e persone in cerca di lavoro che usufruiscono del reddito. “Cosa c’entra l’Inps con la formazione?”, si domanda Del Conte. “Noi semplicemente non ne facciamo, se non per i nostri dipendenti”, replicano indirettamente dall’entourage di Boeri. “I dati che l’Inps ha sono relativi alla platea dei beneficiari del reddito”, prosegue Del Conte, non certo alle imprese che cercano lavoratori. Ed è per questo che affidare all’istituto previdenziale la regia dell’intero progetto significherebbe svuotare il reddito di cittadinanza: “in altri termini – dice Del Conte – nessuna politica attiva”.

 

Ecco: tutta quella fantasmatica operazione di assistenza ai cittadini in difficoltà, con “un tutor pronto a raggiungere il beneficiario del reddito dovunque egli sia” (cit. Luigi Di Maio), con “lo Stato che ti prende per mano e ti accompagna e ti ridà dignità” (cit. Laura Castelli), semplicemente verrebbe smantellata ancor prima d’essere avviata, se le parole di Siri trovassero seguito in un provvedimento del governo.

 

Il sottosegretario leghista afferma senza dubbio una incontestabile verità quando lamenta che “i centri per l’impiego al momento non sono pronti”, come del resto nei giorni scorsi hanno ribadito al Foglio vari assessori regionali, ancora in attesa di ricevere indicazioni chiare dal governo sul da farsi in vista dell’avvio del programma: e anzi, a fronte della presunta assunzione di almeno ottomila nuovi dipendenti promessa da Di Maio nei mesi scorsi, solo quattromila nuovi innesti sono stati previsti da un emendamento alla manovra presentato dal governo due giorni fa in commissione Bilancio alla Camera. Se tuttavia Siri ha ragione nel denunciare questo ritardo, pecca forse di eccessivo ottimismo, o di scarsa conoscenza della realtà, quando suggerisce di ricorrere all’Inps perché, d’altronde, “già oggi eroga il Reddito di inclusione”. L’Inps non può sostituirsi ai centri per l’impiego semplicemente perché non fa il lavoro che questi ultimi sono chiamati a svolgere: certo, si potrebbe avviare una grande riforma dell’istituto in tal senso ma, spiegano dallo staff di Boeri, “significherebbe far partire tutto da zero, e difficilmente si riuscirebbe ad allestire una nuova struttura così complessa prima dell’aprile prossimo”. Quanto al Rei, è vero che oggi l’Inps eroga il contributo, ma non si occupa certo di organizzare percorsi di formazione per chi ne usufruisce: si limita soltanto, ed è già un’impresa non semplice, a dialogare con gli enti locali che prendono in carico i vari soggetti che richiedono assistenza.

 

E insomma il sospetto, come riconosce lo stesso Del Conte, è che, a dare credito all’ipotesi di Siri, si finirebbe col ridurre il reddito di cittadinanza alla semplice erogazione di un sussidio da distribuire giusto in tempo per accaparrarsi consensi alla vigilia delle europee di maggio. E forse anche per questo i deputati del M5s che ieri discutevano della manovra in commissione Bilancio restavano, pure loro, assai perplessi se li si interrogava sulla proposta di Siri. Senza contare, poi, che la bizzarria è anche politica, dal momento che, delle due misure cardine della sedicente “manovra del cambiamento”, quella considerata più pericolosa, a livello strutturale, dalla Commissione europea è senz’altro la cosiddetta “quota cento”, perché è quella che in modo più netto si pone in contrasto con le raccomandazioni di Bruxelles, determinando una “deviazione significativa” rispetto al percorso di riduzione del debito. E tuttavia i responsabili economici della Lega continuano da settimane a occuparsi non tanto della loro controriforma delle pensioni, rimodulata in vario modo ma mai in maniera tale da dissipare lo scetticismo dei commissari europei, ma di regalare consigli non richiesti ai colleghi di governo del M5s su come ripensare il reddito di cittadinanza. D’altronde, dalle parti del Carroccio, sanno bene che al momento nessun grillino di peso oserebbe contrastare davvero “quota cento”: un po’ perché il “superamento della Fornero” è un obiettivo che anche Di Maio vuole potersi rivendere in campagna elettorale, e un po’ perché ai piani alti del M5s non c’è alcuna voglia di offrire a Salvini il pretesto per rompere l’alleanza e passare all’incasso. E così, nella palude del grilloleghismo, ogni giorno il reddito di cittadinanza, questa riforma epocale scritta ancora – e siamo a dicembre inoltrato – sull’acqua, appare qualcosa di diverso da quello che sembrava dovere essere. In fondo, a ben vedere, anche questo è “cambiamento”.

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