La protezione sociale non è (solo) una questione statale

Andrea Garnero e Stefano Zorzi

Il saggio “Hedge” è una guida per uscire dall’inganno del reddito di cittadinanza

La classe media si sta restringendo. Le nostre società sono divise tra pochi vincitori e molti sconfitti. Troppa apertura, troppa innovazione, troppo mercato. E quindi dobbiamo chiudere le frontiere, limitare la flessibilità sul lavoro, ripristinare il ruolo dello stato in molti settori dell’economia. In uno slogan: dare più protezione contro la paura. Questo sembra essere lo Zeitgeist attuale, che in forme e toni diversi attraversa l’arco politico e le frontiere. Effettivamente la paura è innegabile e si manifesta in maniera prepotente nelle urne. Questa paura porta con sé un crescente rifiuto della globalizzazione, con i suoi risvolti economici e migratori e, in parte, dell’innovazione tecnologica.

 

Reintrodurre l’art. 18, ripristinare la cassa integrazione in deroga, fare della Cassa depositi e prestiti il nuovo Iri, chiudere le frontiere, tassare i robot sono alcuni delle risposte che da sinistra a destra si immaginano. Alla base c’è una nostalgia per quegli anni Sessanta in cui innovazione, benessere e protezione sociale sembravano andare a braccetto. Ma basta – se anche fosse possibile – tornare indietro di cinquanta anni per ritrovare quelle condizioni? “Hedge: A Greater Safety Net for the Entrepreneurial Age”, un bel libro di Nicolas Colin, imprenditore e investitore con un passato nell’alta amministrazione francese (nello stesso corpo del presidente Emmanuel Macron al ministero delle Finanze) ci dà l’occasione di pensare un’alternativa: un nuovo patto sociale che vada oltre la nostalgia e sappia adattarsi al contesto economico e tecnologico. Colin si rivolge a imprenditori e innovatori, in particolare a quelli della Silicon Valley. Questo è piuttosto insolito, perché la protezione sociale è l’ultima della preoccupazioni di chi lavora notte e giorno a creare “the next big thing”, il prossimo Facebook o Google. Le poche volte in cui si pone la questione di ricompensare chi non riesce a tenere il passo della globalizzazione o della tecnologia, la risposta è semplice: un reddito universale per tutti, questione finita.

 

Con “Hedge”, invece, Colin prova a convincere questa platea che un patto sociale 2.0 è indispensabile proprio per chi ha a cuore innovazione e apertura. Hedge parte da un presupposto: ogni grande rivoluzione tecnologica porta un modello economico dominante diverso da quello precedente. Nella sua fase iniziale, questa trasformazione tende a essere irruenta e a generare choc profondi nella società. Istituzioni e strutture sociali consolidate diventano obsolete mentre le nuove tardano a solidificarsi. Una parte ristretta della popolazione, più abile o più fortunata, riesce a catturare la maggior parte dei benefici del nuovo sistema, lasciando gli altri in balia della crisi di quello vecchio. Solo con la creazione di un nuova cornice istituzionale e sociale adatta alle mutate condizioni, il nuovo modello economico riesce a diffondere i benefici a tutta la popolazione. Nel caso delle economie industriali del Novecento, quest’ultimo passaggio s’è materializzato grazie al mix di strumenti di previdenza sociale e contrattazione collettiva che Colin chiama la “grande rete di protezione 1.0”. E’ stato questo a dare il via definitivo al circolo virtuoso del fordismo: sicurezza di reddito per i lavoratori, che potevano così consumare, e sicurezza di domanda per le aziende, che potevano così investire. Il tutto sorretto e alimentato da un sistema bancario in grado di finanziare entrambi. Ma a partire dagli anni Novanta quel sistema è entrato in crisi.

 

Il patto tra aziende e lavoratori s’è spezzato e lo Stato si è dimostrato troppo lento per offrire servizi e soluzioni attuali. Lo stesso patto sociale fondato sulla sicurezza del posto di lavoro e sul connubio grande azienda-grande sindacato s’è trasformato in una camicia di forza che ha congelato un modello economico sempre meno in grado di generare crescita. Il risultato è una cornice istituzionale che riesce nella doppia “impresa” di scoraggiare l’innovazione e di lasciare una parte crescente della popolazione scoperta da ogni protezione. Questo mentre la rivoluzione informatica fa emergere un nuovo modello economico – “l’età imprenditoriale” – che si fonda proprio sulla capacità di innovare di prendersi dei rischi. E’ un sistema che offre possibilità senza precedenti all’iniziativa individuale e alla creatività, ma che allo stesso tempo rifiuta ogni forma di pianificazione e gestione dall’alto.

 

Questo scenario ha generato, finora, due tipi di risposte. Da una parte chi si illude – e illude – che si possa tornare indietro nel tempo, posizione non solo dei movimenti populisti ma che fa breccia tra le classi dirigenti tradizionali. Dall’altra, gli ottimisti a prescindere che mantengono la fiducia in un futuro luminoso senza però indicare come arrivarci. Per Colin la lezione della storia è chiara: ogni speranza di prosperità per il domani passa per dare una soluzione alle incertezze dell’oggi. La risposta sta nel riconoscere che l’età imprenditoriale si nutre di questo e invece che limitarla, incoraggiarla attraverso la creazione di una forte rete protettiva che permetta a tutti di potervi partecipare. Il nuovo patto sociale che “Hedge” propone, la “grande rete di protezione 2.0”, si fonda su tre pilastri: sistema di ammortizzatori sociali per garantire sicurezza economica; strumenti di credito capaci di sostenere investimenti in capitale umano; mercato del lavoro basato sul potere contrattuale dell’individuo e sulla possibilità di accedere a nuove opportunità. Qui sta uno dei meriti del libro: siamo abituati a pensare la protezione sociale come un ruolo esclusivo (o quasi) dello Stato. In realtà anche il settore privato, grazie a una cornice di regole e incentivi fissati dal pubblico, svolge un ruolo fondamentale. “Hedge” propone una nuova alleanza tra Stato e imprenditori. Grazie alla loro familiarità con le nuove tecnologie e la maggiore agilità di movimento, imprenditori e startup possono svolgere un ruolo determinante nella creazione e diffusione di nuovi prodotti e servizi per risolvere problemi collettivi, inclusa la costruzione della “grande rete di protezione sociale 2.0”.

 

“Hedge” è una boccata d’aria fresca in un dibattito che – non solo in Italia – stenta a uscire dalle categorie del vecchio mercato del lavoro. Al tempo stesso, mostra tutti i limiti di un pamphlet indirizzato alla Silicon Valley. Colin, infatti, lascia senza risposta il quesito su cosa fare nel presente. Si ha l’impressione di guardare un progetto di una bella casa nuova (seppure un po’ fantasiosa ) mentre quella vecchia sta ancora bruciando. E’ comprensibile che la politica sia concentrata a usare l’idrante. E’ necessario, però, che qualcuno, dietro, cominci a riflettere a cosa fare dopo. “Hedge” è una buona base.

Di più su questi argomenti: