Il giornalista Pino Aprile, autore di vari libri sulla questione meridionale (Foto Imagoeconomica)

Come sragiona il sud a 5 stelle

Pino Aprile

Ci scrive Pino Aprile, e dimostra da se stesso quanto la lamentela neoborbonica sia un danno al paese

Al direttore - I meridionalisti, a lorsignori, piacciono morti (Nicola Zitara); se viventi (Alessandro Laterza, Pino Aprile, incredibilmente accomunati), si riducono “al lamento, alla rivendicazione. Fino all’avallo, magari involontario, del rancore populista poveraccista che ha preso la maggioranza dei voti nella metà meridionale del paese”. O, parlando con decenza, signora mia, “a un ribellismo sguaiato, nullista”, quale quello di Aprile, “che dopo il 4 marzo aveva detto: ‘Hanno vinto perché ci siamo rotti i coglioni’”.

 

Converrete che questo linguaggio (s)qualifica la metà del paese in cui hanno vinto i Cinque stelle (mica il trionfo di un sano partito razzista, come al Nord). Chi lo dice? Un signore che scrive su un giornale scarso di lettori, non di finanziatori, Maurizio Crippa; il quale, su Sud e meridionalismo, non ha bisogno di informarsi, perché sa già come stanno le cose, a prescindere dai fatti (giudica prima di conoscerli e addirittura rinunciandovi: un pre-giudizio).

 

Il suo testo parte dalla scandalizzata lettura di un tweet dell’editore Alessandro Laterza, sulla “Secessione dei ricchi” (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna), con il trucco dell’Autonomia e competenze che da statali diventerebbero regionali. “Secessione?”, chiede il nostro, rischiando di turbare le signore in salotto. E riporta il tweet: “Entro il mese di ottobre il governo varerà l’inizio della secessione nordista e della rottura dell'unità nazionale. Qualcuno tutelerà gli interessi del Mezzogiorno e dell’Italia tutta?”, se persino il Pd di quelle tre regioni (“Piddini per Salvini”) va in soccorso della Lega su questo.

 

Ora, che fa un giornalista, dinanzi a qualcosa che non gli quadra? Si informa (definisce Laterza “intellettuale intelligente”, un dubbio dovrebbe venirgli). Con un solo clic, Crippa avrebbe scoperto che quel tweet è sintesi di un appello ai presidenti della Repubblica e delle Camere, firmato anche da Laterza e da me, sulle conseguenze del “regionalismo differenziato” che dovrebbe esser varato il 22 ottobre e consentirebbe, in cinque anni, alle Regioni più ricche, di trattenere i 9/10 delle tasse. Il che lascerebbe lo Stato centrale senza più fondi per assolvere i suoi compiti. Fine di un paese. Si scrive “Autonomia”, si legge “Secessione”.

 

Ci si arriverebbe con il passaggio dall’amministrazione centrale a quella regionale, di 23 competenze (scuola, sanità, trasporti, eccetera) e delle risorse relative. Che, nel progetto di legge in corso di approvazione, non sarebbero più le stesse per tutti i cittadini italiani, ma rapportate alla ricchezza del territorio. Quindi ai più ricchi una quantità e qualità di diritti maggiore. Apartheid in salsa italiana: i diritti si comprano. Chi può. E chi no, nisba. Ispiratore di tale furbata che puzza di incostituzionalità, il guru del presidente veneto Luca Zaia, professor Luca Antonini, appena eletto alla Corte costituzionale, che così potrà, eventualmente, giudicare la costituzionalità del suo pensiero “differenziato”.

 

A definire secessione questa “Autonomia” son decine dei più quotati docenti italiani che firmano l'appello (“No alla secessione dei ricchi”) ai garanti dell’unità nazionale. Il primo è il professor Gianfranco Viesti, economista, consulente di governi e organizzazioni internazionali; il secondo è il professor Vito Tanzi, già docente alla Washington University e massimo dirigente del Fondo monetario internazionale. Poi, ci si può sbizzarrire: ce ne sono di ogni inclinazione politica e di università italiane e straniere. Più altri cittadini, quasi 13 mila, finora, inclusi scrittori, politici e parlamentari di centrodestra, centrosinistra, cinque stelle, sindacalisti. Ma volendo strafare, si potrebbe leggere cosa scrive, nello stesso segno, il professor Marco Cammelli, sul Mulino (da una ventina di anni ne dirige la rivista giuridica), consulente del Quirinale.

 

Insomma, ce n’era, ce n’è, per documentarsi. Ma la capacità di lettura del Crippa non va oltre il tweet. Strano, se nella sua biografia dichiara: “Perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”. Beh, e li legga. Scoprirebbe che quello di Zitara che cita (“Unità d'Italia, nascita di una colonia”) è sì e no il bignamino dell’opera di Nicola, il cui capolavoro postumo e ingiustamente poco diffuso, è “L’invenzione del Mezzogiorno”; e gli avrebbe fatto bene godersi pure lo splendido “Memorie di quand’ero italiano”. Avesse letto anche uno dei miei, saprebbe cosa mi disse Nicola sul letto di morte. E non avrebbe giocato il contrasto fra l’eccessivo Aprile e il misurato Zitara, che i coglioni li aveva più rotti dei miei e non lo nascondeva: “La nostra liberazione non comincerà con la freccia del nostrano Guglielmo Tell che trafigge il tracotante nemico, ma con un camion di provolette Galbani precipitato nella scarpata dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria”.

 

Ma lorsignori son così: non affrontano mai le cause, giudicano gli effetti. Crippa non si chiede se “lamento” e “rivendicazione” meridionale abbiamo una ragione: gli danno fastidio e basta. Cosa frega se i Conti pubblici territoriali, fonte inattaccabile, mostrano che, dalla spesa pubblica “uguale per tutti”, ogni anno sono sottratti al Sud circa 85 miliardi (850 in dieci anni) che vanno a piovere sul bagnato; se per il 34 per cento della popolazione, lo Stato spende solo il 28 per cento; se da un secolo e mezzo a Matera aspettano i treni dello Stato, che i materani hanno l’onore di finanziare per altri; se le Frecce rosse si fermano a Salerno e in Sicilia fai 300 chilometri in 14 ore?

 

Si lamentano, i terroni e dicono parole sconce, signora mia, mentre se l’ipotiposi del sentimento personale, prostergando i prolegomeni della mia subcoscienza, fosse capace di reintegrare il proprio subiettivismo alla genesi delle concomitanze, allora io rappresenterei l’autofrasi della sintomatica contemporanea che non sarebbe altro che la trasmificazione esopolomaniaca. Insomma: ci siamo rotti i coglioni, anche dei vostri ditini alzati.

 

E del fatto che, pur di evitare gli argomenti e i dati, ci si limita a sparare stantie frasette circa il “cliché sul Meridione depredato” (ma come: dice di aver letto “l’indimenticato” Zitara e ancora sta al “cliché”? E Nitti lo ha letto? E Carlo Azeglio Ciampi, lo stesso Luigi Einaudi?). Sbaglierebbe chi pensasse che i terroni si siano rotti di avere infrastrutture da terzo mondo e persino poche, in un paese che butta soldi in costosissime e inutili Brebemi (costa il doppio a km della Salerno-Reggio Calabria, che pure attraversa i tre più instabili massicci montuosi) o ancor più inutili pedemontane (quella lombarda la più costosa di sempre, quasi 60 milioni di euro a km: ma di cosa è fatta, oro?) o dannosi Mose (due euro in corruzione, ogni euro in lavori; e non funziona); o perché da quasi trent’anni il Nord esprime e premia un partito che, persino per bocca di ministri, insulta i terun de merda, topi da derattizzare (come gli ebrei, Goebbels), merdacce mediterranee, porci, colerosi che puzzano più de cani a cui da Radio Padania, diretta dall’attuale segretario del partito, si auguravano morte, stermini.

 

Nooo, la risposta corale e “populista”, per Crippa, è dovuta a “un amalgama di rancore, di isolazionismo, di revisionismo storico gonfiato a livelli di fake news”. Fake news la relazione dell’allora ministro Giovanni Manna al re, sul censimento del 1861, poi approvata in Parlamento, in cui si dice che “nelle provincie che abbiamo appena conquistato”, a causa della “guerra”, dopo appena un anno di cure sabaude, si trovano 458 mila persone in meno di quante avrebbero dovuto essercene? Fake news lo studio dei padri della nostra demografia, Pietro Correnti e Cesare Maestri, che, nell’immediatezza degli eventi, documentano come, con l’arrivo delle truppe sabaude, nei distretti dell’ex Regno delle Due Sicilie, dove il numero degli abitanti cresceva più che ne resto d'Italia (e nerssuno emigrava), in pochi mesi la popolazione smette di crescere e diminuisce di 120 mila unità? Fake news le schede dei centomila deportati in pochi anni e di recente rintracciate in inviolati archivi e dei 600 mila incarcerati nel solo 1861, ancora 400 mila dieci anni dopo?

 

Non pretendo che Crippa legga miei libri in cui son riportati questi dati, tutti con il timbro del Parlamento, del governo, del ministero, dell’ente di statistica. Ma che eviti di giudicare quello che non conosce, sì. A dire fake news non ci vuole niente, ma bisogna dimostrarlo. P. S.: Come vedi, caro Crippa, se c’è da polemizzare, quando vuoi. Ma, da collega, lasciami dire: chiedetevi cosa e perché accade al Sud e trascurate. Guardate quel che fa il Nord con gli occhi di un terrone e non solo il contrario. Sta crollando la casa e si discute del colore da dare ai muri.