il ministro dell'Economia Giovanni Tria (Foto Imagoeconomica)

Il def, i conti che non tornano e il panico dei ministri

Salvatore Merlo

“Qui non c’è più niente da tagliare!”, gridano i membri dell'esecutivo. Ritratto di una manovra

Roma. Quando Laura Castelli, che sarebbe sottosegretario all’Economia ma non ha le deleghe, ha spiegato ai colleghi che bisogna far dimagrire di “un miliardo di euro” i loro ministeri, alcuni di loro si sono scambiati sguardi cosmici: “Ma se siamo al limite della sopravvivenza?”, ha detto Alfonso Bonafede, il ministro della Giustizia. Alla Camera, il ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, si guarda intorno come uno che cerca qualcosa che però non trova: la struttura del suo ministero. Mesi fa aveva minacciato le dimissioni qualora non gli avessero dato dei fondi per operare: “Tagli… a cosa?”. 

 

E allora la reazione dei ministri non è rabbiosa, semmai scettica, quasi si trovino di fronte a venditori ambulanti di pentole. E d’altra parte Laura Castelli non è Giulio Tremonti, diciamo, il ministro sadico e potente che faceva piangere i colleghi in Consiglio dei ministri, lui che prefigurava tagli alla cultura accompagnandoli con frasi del tipo: “Avete mai provato a farvi un panino con la Divina commedia?”. Esiste infatti in Italia un’ampia letteratura e un’ancora più cospicua documentazione su rinunce annunziate e tagli minacciati. Basterebbe pensare che le ultime tre legislature hanno avuto ciascuna un suo uomo mani di forbice, un signor commissario alla revisione della spesa: Carlo Cottarelli, Roberto Perotti, e prima i saggi tagliatori Enrico Bondi e Piero Giarda.

 

Perché sempre arcani cicli e misteriosi algoritmi governano le buone intenzioni retrattili della politica. Eppure mai era capitato di sentir dire che il risparmio, e i soldi per finanziare una manovra da trenta miliardi, arriverebbero anche – come ha detto giovedì sera Luigi Di Maio e come vorrebbe la signora Castelli – dalla rottamazione delle auto blu, dalla sforbiciata alle cosiddette pensioni d’oro, dal colpo di sega alle ali dei voli di stato e dal dimagrimento, a quanto pare impossibile, dei ministeri. Ci sono infatti ordini di grandezza incomparabili, tra i miliardi che si vogliono spendere e i pochi milioni che forse si possono risparmiare. D’altra parte una rapida ricerca sui siti internazionali rivela un unico precedente al mondo. E cioè a quanto pare anche il presidente del Pakistan ha avuto la stessa intuizione del governo italiano: il paese è al collasso economico, e lui ha annunciato l’eliminazione delle auto blu per ripianare il debito pubblico.

 

Così la verità è che nel governo ai tagli non ci crede nessuno. Non Gian Marco Centinaio, il ministro dell’Agricoltura, né Barbara Lezzi, ministro per il Sud, e nemmeno il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, che lo dice chiaro chiaro: “Non sono affatto preoccupato”. Il ministro Giulia Grillo voleva addirittura spendere, eliminando il ticket ospedaliero. E semplicemente forse non c’è nulla da tagliare. Ci sarebbero i dipendenti dei ministeri, ma a questo proposito il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ci tiene che si sappia: personale e stipendi dei militari non si toccano, “ma si possono risparmiare 500 milioni sospendendo alcune missioni, e alcuni progetti militari”.

 

Così il sottosegretario Raffaele Volpi scherza, invitando i giornalisti a prendere un caffè al Palazzo della Marina, “ma ovviamente pago tutto io ché soldi non ce n’è”, mentre Guglielmo Picchi, sottosegretario agli Esteri, gonfia il petto: “Noi alla Farnesina abbiamo un surplus di 30 milioni, perché siamo stati bravi. Ne daremo 15 al ministro Tria”. Spiccioli, ovviamente, che tuttavia precipitano nella baraonda ragionieristica, nel bailamme conteggiatorio di una manovra che nessuno sa come si dovrebbe finanziare. Così Claudio Borghi, il simpatico presidente della commissione Bilancio, a un certo punto, mentre attraversa il Transatlantico, solleva le mani come fa un illusionista nel momento cruciale di un numero di sparizione: “I tagli non è detto che ci siano”.

 

Dicono allora che il presidente Conte abbia in animo una “cabina di regia” – parola dotata di magica permanenza nell’Italia politica – ma stavolta indirizzata alla “spending review”. Come se negli ultimi dodici anni non si fossero già susseguite prolifiche “cabine di regia” che già hanno individuato dove e come tagliare la spesa. Ma è un lavoro che ogni volta, evidentemente, deve ricominciare daccapo. Come nel giorno della marmotta. Tanto che, deposto sulla griglia della realtà, adesso il caos contabile appare compiuto, pervasivo, e per certi versi terminale.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.