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Baruffe in commissione Bilancio

Valerio Valentini

Grillini alle prese con la manovra. Lo scontro tra Castelli e D’Incà e lo strapotere della comunicazione

Roma. Che sia per un eccesso di sicurezza, o per una nausea ormai maturata di fronte a obiezioni mille volte ascoltate e mille volte rigettate, sta di fatto che la vigilia della riapertura effettiva dei lavori parlamentari sulla manovra viene vissuta, dai deputati del M5s, con impensabile serenità. O forse il punto, come confessano sottovoce alcuni di loro, è che in fondo gli esponenti grillini della commissione Bilancio – dove oggi cominciano le audizioni sulla Finanziaria, a partire da Giovanni Tria – sono un po’ “a libertà limitata”. Cosa che, indirettamente, conferma anche Giuseppe Buompane, avvocato casertano classe ’82, vicepresidente della commissione, quando dice che “la manovra è blindata”. Poi argomenta: “Siamo tranquillissimi, certi di avere lavorato bene e convinti di non dover stravolgere nulla, al momento”. E le previsioni fosche della Commissione europea? “Contestabilissime”, sentenzia lui. E quelle del Fmi? “Guardate – argomenta – che qui ci troviamo di fronte a critiche politiche, non tecniche”. Ma tutti contestano i saldi, parlano di una crescita gonfiata e di un deficit sottostimato. “Certo, perché usano moltiplicatori fuori dalla realtà”.

   

E insomma pare evidente che difficilmente si cambierà rotta. E non perché, in verità, non ci sia, perfino tra i grillini impegnati in commissione Bilancio, chi invochi da tempo un ravvedimento. Federico D’Incà la va esternando da settimane la sua preoccupazione: “Occhio ché coi mercati non si scherza”. E forse sarà un po’ per la sua indole di europeista moderato – lui che del resto, nella sua Trichiana, in provincia di Belluno, politica ha cominciato a farla con una lista civica di reduci dell’Udc – o forse perché, lui che è l’unico tra i cinque stelle che in quella commissione ha già trascorso una legislatura, ricorda bene il panico di quelli di prima in contesti assai più sereni di quello attuale (“Li ho visti sudare per trovare uno 0,1”), è stato lui a confrontarsi, e spesso a litigare, con Laura Castelli. La quale, dal suo ufficio di viceministro al Mef, controlla e sovrintende alle faccende – e alle chat – dei neofiti a cinque stelle della Bilancio. E loro – quasi tutti – ne subiscono l’ascendente, ne temono le eventuali ritorsioni: e quindi perlopiù s’adeguano alla linea della fermezza: avanti tutta, indietro non si torna, costi quel che costi. 

  

Fedelissima della Castelli è ad esempio Marialuisa Faro, catanese di nascita ma trasferitasi ormai da tempo in provincia di Foggia. La stessa a cui anche la Castelli, nata a Torino da madre siciliana e padre originario di Rocchetta Sant’Antonio, è legata. Trentaquattro anni e una laurea in Economia, nel 2013 la Faro tentò la via delle comunali per diventare sindaco di Sannicandro, il paese del Gargano dove si era trasferita con suo marito Rocco Carbonella, pure lui attivista a cinque stelle. Le andò male: prese 300 voti circa, e continuò a occuparsi della sua agenzia di viaggio. Lo ha fatto fino al 4 marzo scorso, quando è stata catapultata a Montecitorio e di lì promossa capogruppo in commissione Bilancio: senza separarsi, però, dal suo congiunto, candidatosi senza successo al Consiglio comunale di Sannicandro nello scorso giugno e subito recuperato come portaborse della moglie. Affabile nei modi e discreta affabulatrice, la Faro si è fatta notare soprattutto la sera del 9 ottobre scorso, quando reagì alla bocciatura della manovra da parte dell’Ufficio parlamentare di bilancio con una accalorata invettiva in cui dava a Giuseppe Pisauro e ai suoi due consiglieri degli incompetenti al soldo di Matteo Renzi e di Carlo Cottarelli. “Lei si è limitato a leggerlo, quel discorso, ma le arrivò già scritto da altri”, dicono i suoi colleghi, senza spingersi a identificare con esattezza l’anonima manina. (A proposito di “manina”: quando deflagrò il caso del condono negli studi di “Porta a Porta”, fu proprio la Castelli, sempre lei, ad affrettarsi a lanciare l’ordine alle truppe nella chat della commissione Bilancio: “Nessuno attacchi la Lega: il problema ce l’abbiamo coi tecnici del Mef”. Poi passarono due ore e Massimo Garavaglia e Giancarlo Giorgetti sbottarono contro gli alleati grillini, e a quel punto fu lei a dire ai vertici del Carroccio che non era il caso di “prendersi in giro”).

  

Del resto nel M5s – e la commissione Bilancio non fa certo eccezione – funziona da sempre un po’ così: per ottenere il privilegio della visibilità bisogna essere disposti spesso a mettere la propria firma sui comunicati che qualcuno, tra i molti zelanti collaboratori di Rocco Casalino, decide di stilare. E quanto la tentazione della fama sia letale, quanto inebriante sia l’estasi della notorietà, lo dimostrava la frenesia con cui Michele Sodano, ventinovenne agrigentino molto stimato dai suoi colleghi della Bilancio, saltava da un divanetto all’altro del Transatlantico col suo MacBook in mano, il 19 ottobre scorso, per far rivedere ai suoi compagni il video del suo intervento a “Omnibus”, su La7, nonostante la non eccellente figura rimediata nel confronto con l’economista Mario Seminerio.

  

E come Sodano, anche Raphael Raduzzi è stato recentemente promosso come volto spendibile in tv, dall’Ufficio comunicazione a cinque stelle. Altoatesino di nascita ma padovano d’adozione, laureato in Economia e politiche pubbliche all’Università di Modena, coi suoi ventisette anni anni è uno dei deputati più giovani della legislatura. E’ stato scelto lui come relatore della manovra. “E non mancheranno scintille”, promettono i suoi colleghi, pensando al prevedibilissimo fuoco di fila che da oggi – non tanto con l’audizione del ministro Tria, ma soprattutto con quelle di Banca d’Italia, dei sindacati e di Svimez – verrà aperto sulla manovra. Una replica dello stillicidio di critiche e contestazioni cui si è assistito meno di un mese fa con la Nadef, e a cui Raduzzi reagì con una certa irritazione: “Sempre la solita storia: a Via Nazionale, come alla Bce e al Fmi sottostimavano e sottostimano i moltiplicatori fiscali, salvo poi dover chiedere scusa quando si accorgono dei loro errori”, sbuffavano. E ai moltiplicatori da rivalutare al rialzo faceva appello anche per rispondere alle picconate dell’Upb, che in commissione verrà audito, di nuovo, all’inizio della prossima settimana. “Ma mi auguro che il clima sia più sereno”, diceva ieri Raduzzi, seduto su una panchina del cortile di Montecitorio. Nei giorni scorsi ha fatto visita ai collaboratori di Pisauro, e dal colloqui ha tratto conforto: “Sull’output gap sono molto più ottimisti di quanto non lo siano a Bruxelles e a Francoforte. Buon segno”.

   

Un po’ meno ottimista sulla manovra è invece Giorgio Trizzino, anche lui riluttante di fronte a certi eccessi d’entusiasmo per il deficit allegro. E’ un chirurgo dell’Università di Palermo, Trizzino, e amico personale di Sergio Mattarella. Lo stesso che ieri, in modo non troppo enigmatico, ha lanciato un avviso ai naviganti, l’ennesimo, per dissuaderli dall’imboccare la scorciatoie di una manovra elettorale: “Non c’è calcolo di breve periodo che possa giustificare il rischio di comprimere un potenziale di sviluppo per l’intera comunità”. Forse non bisognava neppure essergli troppo intimo, per capire il senso del messaggio.

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