Giovanni Tria alla riunione dell'Eurogruppo (foto LaPresse)

Non sparate sulle manovre degli altri

Lorenzo Borga

I Cinque stelle rivendicano una legge di bilancio a favore del popolo a spese dei potenti, “dopo anni in cui si toglieva ai cittadini e si finanziavano privilegi e sprechi”. Una narrazione contraddetta dai fatti

"Sarà una manovra che aiuta gli ultimi e fa la guerra ai potenti". “Negli ultimi anni si facevano le manovre in deficit ma non per aiutare i cittadini”. “Con la manovra del popolo aiuteremo la gente”. “Finalmente si inverte la tendenza, dopo anni in cui si toglieva ai cittadini e si finanziavano privilegi e sprechi, noi li tagliamo e finanziamo misure per il popolo”. “Le vecchie leggi finanziarie hanno tagliato la scuola e la sanità, massacrando imprenditori, risparmiatori e consumatori al solo beneficio di banchieri, petrolieri e amici degli amici”.

 

 

Queste sono le parole che ci siamo abituati ad ascoltare nelle ultime settimane, a proposito della nota di aggiornamento del Def. Una nuova lotta di classe sembra alle porte, non più tra lavoratori e imprenditori ma tra popolo ed élite: un conflitto ormai consolidato negli ultimi anni. La narrazione è in particolare portata avanti dal Movimento 5 stelle, che rivendica una legge di bilancio a favore del popolo a spese dei potenti, a differenza delle precedenti finanziarie. Ci stanno dicendo che chi fa parte del popolo riceverà un sollievo dalla manovra, mentre chi ne è esterno – perché non meritevole, come banchieri e petrolieri – ne avrà un salasso. Pauperismo, rivendicazione sociale, populismo, nella stessa narrazione. Ma quanto c’è di vero? Può essere utile una analisi delle precedenti leggi di stabilità della scorsa legislatura per verificare se quanto affermano gli esponenti 5 stelle sia reale o meno.

  

Nella legge di stabilità 2015, la misura principale è stata la decontribuzione associata al Jobs Act per i contratti a tempo indeterminato, per un costo di quasi 14 miliardi in tre anni. Il bonus 80 euro è stato stabilizzato per i lavoratori dipendenti, per quasi 10 miliardi all’anno. Ed è stato introdotto anche il bonus bebè 

 

2014. La legge di stabilità 2014, l’unica scritta dal governo Letta, ha previsto un deficit al 3 per cento. Ha introdotto interventi per decine di miliardi fino al 2016, in particolare il taglio del cuneo fiscale sul lavoro, per circa 3 miliardi di euro, l’incremento delle detrazioni Irpef per i dipendenti (circa 1,5 miliardi). Non sembrano misure a favore solo dei potenti. Sul lato delle imprese invece sono stati disposti sgravi vari e la riduzione dell’Irap per i nuovi assunti a tempo indeterminato, per poco più di 1 miliardo all’anno. Anche dal lato della spesa la legge di stabilità 2014 ha apportato modifiche: ha incrementato le risorse di alcune centinaia di milioni per gli ammortizzatori sociali, per la social card destinata agli acquisti per i meno abbienti, per le università pubbliche, per i disabili, per le politiche sociali e per le scuole paritarie.

 

Per le nuove entrate la legge di stabilità del governo Letta ha incrementato l’imposta di bollo sugli strumenti finanziari (a proposito di regali ai mercati) e altre misure minori. Vi sono stati anche diversi miliardi tagliati sul fronte delle agevolazioni e detrazioni fiscali e dei trasferimenti agli enti locali e alle imprese, come anche derivanti dalla dismissione di alcuni immobili pubblici.

 

2015. La legge di stabilità approvata dal Consiglio dei ministri guidato da Matteo Renzi per il 2015 ha previsto un deficit del 2,6 per cento, in riduzione di quasi mezzo punto rispetto all’anno precedente. La misura principale è stata la decontribuzione associata al Jobs Act per i contratti a tempo indeterminato, per un costo di quasi 14 miliardi in tre anni. Il bonus 80 euro è stato stabilizzato per i lavoratori dipendenti, per quasi 10 miliardi all’anno. La legge di bilancio ha introdotto quell’anno anche il bonus bebè, per quasi 2 miliardi all’anno. Anche la riforma della scuola – la “Buona scuola” – è stata finanziata, per 7 miliardi lordi in tre anni. Lavoratori, dipendenti, famiglie e scuola: quale di queste categorie rientra tra i “potenti”? Per quanto i provvedimenti possano essere criticati sul merito, la narrazione 5 stelle sembra irrealistica.

 

Nuovi fondi a disposizione del governo sono stati previsti dall’aumento della tassazione sulle attività finanziarie (ma d’altronde nessuno aveva tassato banche e finanza, giusto?), dalla riduzione della spesa dei ministeri, delle regioni e dallo split payment per gli acquisti della pubblica amministrazione.

 

2016. La legge di stabilità 2016 ha ridotto il deficit italiano al 2,5 per cento. La misura cardine della finanziaria è stata l’abolizione dell’imposta sulla prima casa, la Tasi, per circa 5 miliardi all’anno. E’ stata inoltre aumentata la no tax area per i pensionati con basso reddito, una categoria tanto cara anche all’attuale governo. L’esecutivo di Matteo Renzi ha introdotto anche un’altra misura molto simile a quanto proposto dal governo populista di Conte: l’innalzamento delle soglie per l’accesso al regime forfettario dei minimi per le partite Iva. Anche sul fronte della povertà qualcosa si muoveva: è stato istituito un fondo apposito di circa 3 miliardi di euro, andato a finanziare il Rei e ora probabilmente dirottato sul reddito di cittadinanza. Tra le altre cose: 270 milioni sono stati stanziati per il sostegno a persone con disabilità gravi, 450 per il fondo per le non autosufficienze e 150 per la prevenzione degli effetti del gioco d’azzardo. Anche le forze di polizia, care al ministro Salvini, avevano ricevuto un bonus di 1.000 euro all’anno, per mezzo miliardo di spesa.

 

Le coperture sono state individuate nella spending review della spesa pubblica, per circa 7 miliardi. Anche il mini-condono sui capitali destinati all’estero, simile nella filosofia alla pace fiscale leghista, ha contribuito per circa 2 miliardi di euro.

 

2017. La legge di bilancio 2017, l’ultima del governo Renzi, ha stabilito un livello di deficit del 2,3 per cento. Le principali misure sono state la riduzione della tassazione sulle imprese di diversi punti percentuali, decisa fin dall’anno prima. E’ stato introdotto l’iperammortamento per gli investimenti coerenti con il piano di Industria 4.0, confermato dal ministro Di Maio. E’ inoltre stata decisa l’Ape, per consentire l’accesso anticipato al sistema pensionistico, in alcuni casi a fronte di una riduzione dell’assegno mensile percepito, in altri a carico dello stato (l’Ape social). Sempre per gli anziani è stata concessa una quattordicesima mensilità di pensione per i redditi bassi.

 

La volontà di rappresentare tutto il popolo è solo un’illusione in economia: di fronte alle scelte c’è chi ci guadagna e chi ci perde, una divisione che neanche nella prossima manovra sembra definirsi nel solco popolo-élite (è proprio il popolo a perderci di più dallo spread, per esempio)

 

2018. L’ultima legge di stabilità, l’unica firmata da Paolo Gentiloni, ha individuato un livello di deficit dell’1,6 per cento, ancora da verificare a consuntivo. La manovra di bilancio ha prorogato il superammortamento per gli investimenti privati delle imprese, come anche l’iperammortamento. Ma la misura principale è stata la decontribuzione del 50 per cento dei contributi previdenziali per lavoratori con meno di 30 anni con contratto a tempo indeterminato. E’ stato inoltre ulteriormente finanziato il fondo contro la povertà, per 300 milioni di euro. Sul fronte delle pensioni sono stati esclusi lavoratori di settori gravosi e usuranti dall’innalzamento automatico per l’accesso alla pensione di vecchiaia. Ancora lavoratori e pensionati: categorie simile a quelle di riferimento per il Movimento 5 stelle.

 

Sul fronte delle coperture sono stati decisi la fatturazione elettronica obbligatoria e altri interventi per ridurre l’evasione fiscale. Ad anno in corso inoltre era stata promulgata una mini-manovra correttiva, che aveva aumentato la tassazione su giochi d’azzardo e fumo. Luigi Di Maio non lo ricorda?

 

Il Movimento 5 stelle ha molto insistito sul fatto che nelle precedenti leggi di bilancio il deficit fosse stato speso per salvare alcuni istituti di credito. Un argomento vero solo per metà: nel 2017 è vero che 0,4 per cento del deficit (circa 6 miliardi e mezzo) è stato utilizzato per l’intervento su Monte dei Paschi di Siena e per la liquidazione delle due banche venete, ma ha impattato solo sul deficit nominale. Non è stato toccato invece il deficit strutturale, cioè quello corretto per gli effetti del ciclo economico e per le misure temporanee (come i salvataggi delle banche). Dunque l’intervento tanto criticato dal Movimento 5 stelle è valso solo poco più del 3 per cento dell’indebitamento complessivo deciso dai governi precedenti negli ultimi anni. Inoltre in parte si è trattato di un intervento a favore dei risparmiatori: il miliardo e mezzo speso nell’operazione Mps è stato destinato agli obbligazionisti subordinati. Ai risparmiatori, non alla banca.

 

Non è vero, per concludere, che gli interventi decisi dai governi precedenti sono andati a “banchieri e amici degli amici”. La stragrande maggioranza dell’indebitamento è stato utilizzato, in alcuni casi momentaneamente, per provvedimenti per stabilizzare il mercato del lavoro (decontribuzione triennale), oppure per finanziare la riduzione delle imposte sulle imprese (Ires, crediti di imposta, super e iperammortamento), oppure ancora per tagliare l’imposta sulla prima casa, o per finanziare il fondo contro la povertà. La negazione della memoria storica recente sulla politica economica italiana da parte del Movimento 5 stelle sembra utile solo alla loro narrazione. Se è pur vero che ogni scelta di politica economica ha dei risvolti sull’equità (parametro a cui i 5 stelle sembrano interessati) – e in questo senso alcune scelte dei precedenti governi possono essere criticate – è d’altro canto vero che i provvedimenti economici quasi sempre hanno anche dei costi, oltre che benefici. Per lo meno un costo opportunità, troppo spesso ignorato dai politici. La volontà di rappresentare tutto il popolo è solo un’illusione in economia: di fronte alle scelte c’è chi ci guadagna e chi ci perde, una divisione che neanche nella prossima manovra sembra definirsi nel solco popolo-élite (è proprio il popolo a perderci di più dallo spread, per esempio).

 

E’ utile soffermarsi infine sull’uso di questa parola sulla bocca ogni giorno degli esponenti del governo: popolo. Il Movimento 5 stelle la usa in modo incessante, anche nello stesso titolo della legge di bilancio. Il professor Jan-Wener Müller ha offerto un’interpretazione di populismo, che può venire in aiuto per analizzare la narrazione dei 5 stelle sulla manovra. Secondo Müller i populisti avrebbero la pretesa di rappresentare in modo esclusivo il popolo, essendo gli unici moralmente all’altezza. Così facendo, tuttavia, finiscono per circoscrivere l’insieme del popolo solo tra i propri elettori, escludendo dalle proprie politiche chi non ne considerano parte. E’ una vera e propria negazione del pluralismo, che si manifesta anche nella continua delegittimazione degli avversari politici non sul piano delle scelte giuste o sbagliate, ma su quello della legittimità morale di fare gli interessi del popolo italiano.

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