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Alla sinistra serve McDonald's

David Allegranti

“La sinistra da sempre deve rappresentare gli ultimi ma ha confuso gli ultimi”. Il Pd? “Fa il Congresso su Twitter, basta”. I talk-show? “Fondamentali”. Parla Andrea Salerno (La7)

Barnum Café, via del Pellegrino, lunedì pomeriggio. Un tempo, quando c’era ancora “Gazebo” e andava in onda su RaiTre, Andrea Salerno e Makkox si trovavano qui la mattina alle nove a prendere un caffè e fare le riunioni per la trasmissione. Era una sorta di ufficio. E’ passato un po’ di tempo, il mondo intorno è cambiato. Ora “Gazebo” si chiama “Propaganda”, è su La7 e Salerno non è più solo un autore televisivo ma il direttore della rete – di La7, appunto –, al governo ci sono populisti e sovranisti, il Pd è al 17 per cento (se non meno). E’ cambiato il mondo, eppure Salerno dice d’averla già vista un’epoca così. Sì, la crisi della sinistra, il populismo, quest’arietta da incipiente fine dei tempi. Una storia che Salerno conosce bene, visto che da giovane lavorava al manifesto, insieme a un altrettanto giovane Corrado Formigli, e che negli ultimi anni ha lavorato a RaiTre e Fandango, di cui è stato direttore editoriale. “Io mi ricordo l’inverno 1993, quando Giancarlo Bosetti, Norberto Bobbio e Vittorio Foa fondarono Reset, mensile della sinistra di cui io per qualche anno feci il caporedattore”, dice Salerno seduto a un tavolo grosso in legno e marmo, tutt’intorno un circo di turisti. Due caffè, uno normale e l’altro macchiato. “Si parlava esattamente di crisi della sinistra, di populismo. In quel caso, si parlava di Berlusconi come esempio di politico populista. Leggevamo articoli di Michael Walzer e la discussione più o meno era quasi similare. Non c’era la rete. C’era un giovanissimo Riccardo Staglianò in redazione che cercava di spiegarci che cos’era internet e veniva preso in giro da tutti quanti. Stavamo lì su Netscape. Ecco, dopo 25 anni siamo qui a parlare della crisi della sinistra, del populismo. La situazione da questo punto di vista è tranquilla, nel senso che è uguale a prima”.

 


Andrea Salerno (foto Imagoeconomica)


  

Il che, a ben vedere, è tutto più rassicurante per quel tipo di elettorato, perché – se stiamo al parallelo storico offerto da Salerno – prima o poi la sinistra tornerà a vincere. Prima però ci sono alcuni seri problemi da risolvere. I suoi dirigenti passano molto tempo a twittare e invece dovrebbero mollare le loro comode camere dell’eco e farsi un bel giro. In piazza, nei quartieri popolari, nei McDonald’s. Non farsi raccontare l’Italia da dietro a una scrivania o un banco del Parlamento. Se volete, il ragionamento vale anche per i giornali e il giornalismo da trespolo, in certi casi abituato a filtrare la realtà da Whatsapp. Questo metodo – il reportage sul campo – aiuterebbe i partiti della sinistra a capire chi sono. A partire naturalmente dal Pd, in piena crisi d’identità. “Un pezzo della sinistra sosteneva e sostiene che forse sarebbe stato opportuno confrontarsi con i Cinque stelle, ci sono stati dei tentativi, mi ricordo quello di Bersani. Il problema è che tu puoi dialogare con una forza con cui non sei omogeneo se sai esattamente chi sei. Se non sai chi sei tu, è difficile”. C’è quindi un problema d’identità? “Fortissimo. La sinistra mi ha dato l’idea spesso di inseguire gli altri, che però sono più bravi. Faccio un esempio televisivo. Bombolo e Anna Magnani sono due cose diverse. Io rispetto sia Bombolo sia Anna Magnani ma non li posso tenere insieme valorialmente. Ecco, temo che troppo spesso la sinistra a un certo punto per arrivare al governo di questo paese abbia deciso che forse la strada più semplice era quella di dire tutto sommato che Bombolo e Anna Magnani possono stare sulla stessa linea. Non è così”. 

 

“Se tu assumi questa posizione – prosegue Salerno nella sua metafora – perdi connotazione. Sia ben chiaro, io non disprezzo i film di Bombolo perché li vedo, guardo tutta la tv e non ho pregiudizi. Ma so che una trasmissione di Sergio Zavoli, ‘La notte della repubblica’, è una cosa diversa dai quiz di Mike Bongiorno. In questa voglia di essere come tutti, per citare il libro di Francesco Piccolo, se sei come tutti tu perdi perché gli altri sono di più. Culturalmente alla sinistra è successo questo”. E se la sinistra non definisce se stessa, dice il direttore di La7, “non può andare a bussare a casa di altri per convincerli a partecipare a un’alleanza di governo. Un giorno, quando ci saranno le elezioni, che oggi non sono all’ordine del giorno, il Pd si dovrà occupare di eventuali alleanze. Ma prima di tutto se non si preoccupa di se stesso è difficile allearsi con qualcuno, no? E’ una buona regola: se non stai bene con te stesso non ti fidanzi mai con nessuno. E’ questo il problema del Pd. Non sta bene con se stesso. E se tu sei squilibrato non ci sarà nessuno, neanche un matrimonio d’interesse”, dice Salerno. E il Pd perché non sta bene? “Perché non crede più in quello che è. Però teniamo conto di una cosa. Il Pd nel momento di massima crisi come adesso rimane al 17 per cento, diciamo il 16 a tirare via. Il 16 per cento nel momento più basso della storia di questo partito, nella crisi d’identità più profonda. Ha un 16 per cento di elettorato che rimane esattamente lì. Aspetta un messia, qualcuno che si svegli e lo rianimi, quello che vogliamo. Ma quel 16 per cento è là. In più ci sono tutti quelli che hanno votato altri partiti. Sono confluiti nel M5s, magari ne resteranno delusi, magari no. Poi ci sono tutti quelli che non sono andati a votare e che sono la maggioranza. Quindi, in teoria, la situazione è grave ma non gravissima”.

 

Insomma, dice Salerno spostando il suo iPhone, c’è ancora un futuro per la sinistra, anche se “la sinistra ha perso in tutto il mondo, adesso perderà anche in Brasile. In America ha vinto Trump dopo due stagioni di Obama, che da tutti era considerato come uno bravo”. E’ la dimostrazione che Obama non era granché? “No, il contrario: c’è una tendenza mondiale che non favorisce evidentemente quel tipo di sinistra. Il caso italiano poi ha delle sue caratteristiche specifiche. La sinistra italiana è capace di fare una tale quantità di cazzate… Per questo ha perso credibilità. Forse non capisce l’elettorato? Possibile. Di certo in questi anni ha commesso tanti errori. La non elezione di Prodi a presidente della Repubblica è un errore clamoroso. Ma non solo. C’è un problema di atteggiamento. Faccio un esempio basico. Prendiamo McDonald’s e Slow food. Tu dici: dov’è la sinistra? Nello slow food? No, la sinistra è McDonald’s. Perché il proletariato non mangia il culatello, che è sicuramente più buono, più sano, più giusto, più corretto. Il proletariato lo trovi da McDonald’s, a mangiare un panino da un euro. Se tu parli a quelli che mangiano solo il culatello non parli alla tua base di riferimento. Altro esempio. Gli Ogm sono una brutta bestia, ma con gli Ogm puoi sfamare un pezzo di Africa. Quindi non puoi fare una battaglia contro gli Ogm”. Citofonare all’ex ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, insomma. “La sinistra da sempre deve rappresentare gli ultimi ma ha confuso gli ultimi. Dire che il domani sarà migliore non vuol dire che tutto va bene. Forse una delle parole troppo semplicistiche lanciate dal Pd negli ultimi anni è questa: ha detto che va tutto bene, che c’è lo sviluppo, che c’è la crescita. Ma non basta. Dirò una cosa banale, ma se vuoi parlare agli ultimi ti devi mettere anche la divisa per parlare agli ultimi. Cioè devi essere un monaco, devi essere compatibile nei comportamenti con quel dialogo. Non si può fare il Papa vestito Armani. Fai il Papa vestito da Papa. Non puoi andare nelle mense dei poveri con il blazer, devi andarci con abnegazione e senso di fatica. Questo perché la sinistra è diversa. Se n’è discusso tanto negli anni, Nanni Moretti lo diceva: siamo diversi ma uguali, siamo uguali ma diversi. Voleva dire che siamo tutti uguali ma c’è una differenza”. Una diversità antropologica? Una superiorità morale della sinistra? “Non è una superiorità morale”, dice Salerno togliendosi gli occhialetti, “ma la sinistra deve marcare una differenza. E se sei di sinistra le tue parole d’ordine devono essere diverse da quelle della destra populista. Oppure, banalmente, se affermi una cosa, poi cerchi di farla. Se dici che non andrai mai a Palazzo Chigi se non passando per le elezioni, poi devi farlo. La cosa incredibile è che se Renzi avesse aspettato e, invece di farsi convincere dalla ragion di stato e da Napolitano, avesse fatto cadere quel governo e fosse andato alle elezioni, probabilmente avrebbe vinto e sarebbe andato a Palazzo Chigi da vincente, con una prospettiva quindi diversa. Ma in politica gli errori si fanno e si pagano. Sul caso Renzi io credo che abbia ragione Prodi, quando in una recente intervista al Corriere ha detto che c’è un potere sostanziale nel Pd e che ce l’ha in mano Renzi. Io credo che Renzi nonostante la sconfitta avrebbe potuto restare alla guida del Pd e tentare la rimonta, dicendo ‘abbiamo perso tutti insieme, adesso ripartiamo’. Perché dimetterti se poi continui a essere l’arbitro di quel partito? A quel punto è meglio se resti in sella. Nessuno ti ha chiesto le dimissioni, ma se le dai devono essere reali. Devi dimetterti e lasciare che altri si facciano carico di una linea. Sennò rimani lì. C’erano due possibilità, per me tutte e due lecite, compresa quella di restare alla guida del partito da sconfitto. Berlusconi ha vinto e perso le elezioni ma è rimasto sempre lì. Ma per stare all’opposizione devi dimostrare di avere il fisico e la tempra. Bisogna reggere. Probabilmente mettere tutto se stesso sul referendum – giusto o sbagliato che fosse, e per me era giusto visto che ho votato Sì – non aveva senso. Renzi avrebbe potuto perdere o vincere il referendum senza mettere il carico che ci ha messo sopra. Era un passaggio istituzionale, poteva andare bene o male e restare comunque lì a lavorare. Non c’era la necessità di fare questi colpi a effetto, che sono tipici di una società dello spettacolo per avere i riflettori. E’ solo show”. E siccome, dice Salerno, è già tutto uno show e “siamo in una puntata di ‘Lost’ e vale qualsiasi cosa, può spuntare un pinguino all’angolo che mi parla e io gli dico ‘ciao, come stai’ e non ci faccio caso, le parole d’ordine della destra per affrontare il casino in cui siamo sono più semplici. Sono profondamente cambiate le forme e le regole della costruzione del consenso. Nei momenti così le parole d’ordine ‘Prima gli italiani’, ‘Prima i brasiliani’, ‘Prima gli americani’, ‘Prima i turchi’ semplicemente passano”. Passano sui social network, per esempio, dice Salerno. “Ognuno parla con chiunque. Almeno, questo è ciò che pensiamo visto che siamo nel trionfo del percepito. Io posso parlare, o pensare di parlare, con il Papa e dirgli ‘senti, Papa, tu stai sbagliando la linea della chiesa’, e pensare che lui mi stia ascoltando e questo mi appaga. Quindi non ho bisogno di fare manifestazioni, di contestare e scendere in piazza, perché parlo direttamente con un leader sindacale, con il capo di un partito sui social e gli dico quello che penso, e credo così di partecipare al dibattito pubblico. Ma è un’enorme stronzata. Poi, da quel che leggo nel nuovo libro di Baricco, i social network ci preservano dalla Terza Guerra mondiale quindi siano benedetti, però ci danno una percezione del mondo totalmente irreale. Io voglio dire una cosa a Trump, che problema c’è? Gli scrivo su Twitter: ‘Trump stai sbagliando tutto’ oppure ‘bombarda il Giappone’. Il mio parere vale quello di un geologo sul terremoto. Ecco, in questa perdita totale di senso il dibattito pubblico è andato a farsi benedire. E quindi è chiaro che le parole d’ordine della destra sono le più semplici, perché se la politica diventa soltanto amministrazione del mio condominio e del mio palazzo e non deve più raccontare cosa fare del palazzo e come costruirne altri dieci allora tutti vogliamo il palazzo più pulito, dove le biciclette devono essere messe ordinate nella rastrelliera, dove tutto deve funzionare. Ecco, in questo la destra è più brava, perché promette le cose in maniera più chiara e limpida. Se il futuro s’è accorciato ed è tutto molto corto, se il futuro è il prossimo tweet, il ruolo della sinistra – che era progettare un futuro migliore – diventa più complicato”. Insomma, aggiunge Salerno guardando i fondi del caffè ormai freddo, “tutti siamo abituati a pensare che le nostre libertà non siano in discussione, chattiamo, twittiamo, viaggiamo molto, possiamo guardare il nostro programma preferito sul telefonino, è tutto molto rassicurante, quindi scegliamo quelli che amministrano il condominio nella maniera più ordinata e che mi proteggono dall’arrivo dei rompiscatole, delle differenze e dei problemi. Viviamo in queste bolle inquinate, in queste città sempre più folli e siamo un po’ chiusi dentro casa. Ecco, la sinistra è chiusa dentro casa e forse è il caso che esca”.

 

Magari per fare un congresso, come quello, atteso da mesi, del Pd. “A me piacerebbe un momento di discussione. Quello che mi aspettavo e mi aspetto da un partito con quella storia è che si riunisse non per un congresso di 48 ore, che serve per le televisioni, ma che facesse dieci giorni di lavori interminabili confrontandosi con le migliori menti del paese di quell’area, per capire effettivamente cos’è e dove vuole andare. Il Pd deve ritrovarsi per ragionare sui motivi della sconfitta. Invece c’è una mancanza di profondità. Bisognerebbe confrontarsi e non affidare ai social network tutta la discussione congressuale. Tanto lì finisce tutto in malora”. Ma la tv non ha nessuna responsabilità? Pensiamo a certi talk show… “Ogni trasmissione televisiva oggi mi sembra un saggio di MicroMega rispetto a Twitter. Francamente trovo che il talk-show, che era un genere così così, in questo momento sia benedetto. Rispetto a uno scambio su Facebook diventa vero approfondimento. Purtroppo gli interpreti sono quelli che sono”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.