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Casaleggio, il Parlamento inutile e i cittadini declassati a clienti

Marianna Rizzini

Costituzionalisti a confronto sulle parole dell’uomo-vertice (ufficioso) dei Cinque stelle. Parlano Curreri, Pinelli, Martinelli

Roma. E’ il giorno in cui Davide Casaleggio, fondatore dell’Associazione Rousseau e uomo di vertice ufficioso del M5s, ha rilasciato un’intervista a La Verità in cui, in mezzo a ragionamenti sul destino dell’umanità interconnessa, dice che forse in futuro il Parlamento sarà inutile: “Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile” e la democrazia diretta “è già una realtà grazie a Rousseau”. Casaleggio può dire ciò che vuole, ma quello che dice, politicamente, non è neutro (uno vale uno? Nel suo caso insomma). E il vicepremier Luigi Di Maio, a La7, quasi quasi va oltre: “I cittadini ci dicono già che il Parlamento è inutile. Sta a noi, con atti concreti, dimostrare il contrario”. E insomma la situazione sembra capovolgere la famosa frase di Ennio Flaiano: seria, anche se forse non (ancora) grave.

  

Che fare? Il deputato di +Europa e segretario di Radicali italiani Riccardo Magi, già impegnato sul tema “vincolo di mandato”, sottolinea “l’estrema delicatezza di un argomento attorno al quale invece va in scena un ambiguo gioco delle parti nel M5s” e chiede“che cosa ne pensi Roberto Fico, che nel discorso di insediamento da presidente della Camera, e oggi, ribadisce la centralità del Parlamento”. L’uscita di Casaleggio non è neutra neanche per i costituzionalisti che si sono espressi recentemente sulle aporie tra Costituzione e proclami a Cinque stelle. Dice Salvatore Curreri, docente di Diritto Costituzionale a Enna: “Ferma restando la libertà di pensiero, le parole di Casaleggio dimostrano l’affermarsi della convinzione che la democrazia diretta sia la vera democrazia, e che il Parlamento esista per un motivo per così dire tecnico, perché non è più possibile la partecipazione come nell’antica Grecia. Tutto ruota attorno a un’ottica binaria: sì, no, senza approfondimento o confronto. Invece la forza della democrazia rappresentativa risiede proprio nel fatto che chi è chiamato a pronunciarsi abbia le competenze, il tempo e la voglia di approfondire. Non si governa la complessità con un clic”. La piattaforma Rousseau, dice Curreri, “dimostra tra l’altro il fallimento della democrazia diretta: in quanti partecipano alle votazioni on line? Trentamila? Quarantamila? Pensiamo a quello che diceva Tocqueville: la libertà dei moderni sta nel non doversi occupare della cosa pubblica, dunque nella possibilità di delegare con il voto”.

   

Per Cesare Pinelli, docente di Diritto pubblico alla Sapienza, non si può prescindere dal fatto che a preconizzare la fine del Parlamento “non sia un qualsiasi dirigente d’azienda ma il fondatore di un’associazione che ha in mano il M5s e i big data. La fine della politica per come la descrive Casaleggio non la si vede da nessuna parte, e noi, seguendo questa impostazione, rischiamo di finire non tanto fuori della democrazia, ma fuori dal radar del mondo”. Non si stupisce, Pinelli, per le dichiarazioni di Casaleggio, “conseguenza di un comportamento che esprime indifferenza per i tanto declamati cittadini, declassati al rango di clienti. A meno che quella di Casaleggio non sia la boutade di uno che ha già capito che quello che va dicendo è irrealizzabile: infatti scende a Roma e tratta sulle nomine”. Claudio Martinelli, professore di Diritto comparato all’Università di Milano-Bicocca, pur convinto che non si debba “esagerare in allarmismo”, sottolinea però “l’ambiguità” delle parole di Casaleggio sul Parlamento, “vista la non chiarezza dell’assetto dirigenziale di questo partito, il M5s – e lo chiamo partito, al di là del nome che si è dato, in base all’articolo 49 della Costituzione: il M5s da un lato si è presentato alle elezioni, è entrato nella democrazia rappresentativa ed esprime il presidente della Camera, ma dall’altro ha una catena di comando fumosa. Sarà anche imperfetta, la democrazia rappresentativa, ma è l’unica che abbiamo. La democrazia diretta esiste nei limiti stabiliti dal costituente. La vuoi ampliare? Dimmi sulla base di quali regole e su quale terreno di gioco, dimmi chi apparecchia il tavolo”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.