Foto LaPresse

"Sui migranti Salvini ha un approccio muscolare, ma noi dobbiamo restare umani", dice la grillina Grande

Valerio Valentini

La presidente della commissione Esteri alla Camera: "Chi sta annegando va salvato. Le polemiche vengono dopo". E sulla Libia, dice, "ci muoviamo in continuità col precedente governo"

"Prima di tutto, sempre e comunque, salvare chi rischia di annegare in mare". E poi, semmai, la battaglia politica. Marta Grande, deputata del M5s alla seconda legislatura e presidente della commissione Esteri a Montecitorio, le immagini dei naufraghi della Open Arms ce le ha impresse bene in mente: "Sono – dice – profondamente colpita: quelle foto, quei video, impongono a tutto l'occidente di mettersi una mano sulla coscienza". E mentre le rievoca, si dice convinta che "l'importante, per il nostro paese, è mantenere una linea umana. Non dimentichiamoci mai che stiamo parlando di persone".

 

E' il vostro ministro dell'Interno che a volte sembra non ricordarlo.

"L'approccio muscolare del governo sulla questione dei migranti è dettato dallo stile di Matteo Salvini. Ma penso convinta che il governo abbia sempre ben chiaro un principio".

 

Quale?
"La legge fondamentale del diritto del mare, per cui chi sta annegando va salvato. Poi c'è tutto il resto: comprese le sacrosante condanne sui trafficanti di esseri umani, sul business dell'accoglienza e su chi, in generale, specula sulla disperazione dei migranti. E va detto che, comunque, quello dell'immigrazione è un fenomeno che nessun governo, in passato, ha affrontato come avrebbe dovuto".

 

Nessuno mai, prima, aveva commentato la morte di due naufraghi parlando di "fake news".
"Non ho elementi per commentare con certezza l'accaduto. Ognuno ha i suoi tempi di entrata e sceglie i suoi toni, e a volte quelli scelti del ministro dell'Interno sull'immigrazione sono, come noto, muscolari".

 

Anche voi, però, in passato, avete contribuito a questa esasperazione del dibattito. Il primo a parlare di taxi del mare, nell'aprile del 2017, è stato Luigi Di Maio.
"Io pondero sempre con grande cautela le parole che uso quando rilascio delle dichiarazioni. Non tutti hanno questa premura, e forse anche nel M5s, per far passare qualche messaggio, alcuni toni sono stati alzati oltre il limite. Ma è evidente che questa forzatura del lessico è dovuta alle dinamiche terribili di un sistema mediatico che impone sempre e comunque dichiarazioni clamorose".

 

Ma al di là delle singole espressioni, avete scelto deliberatamente di sposare in pieno le tesi di un pm, Carmelo Zuccaro, le cui indagini erano tutt'altro che impeccabili.
"Non ricordo, a quel tempo, quale fosse lo stato di avanzamento dell'indagine. Sono invece sicura che il contesto mediatico in cui maturarono certe dichiarazioni fosse quello di una perenne, spasmodica ricerca della frase a effetto".

 

Questo governo sembra reggersi su un patto di non belligeranza. Lega e M5s si sono spartiti i temi di competenza, come se di volta in volta certi provvedimenti riguardassero una sola forza politica. E così Salvini non contesta più di tanto il decreto dignità, e Di Maio evita di intervenire sulla questione dei migranti.
"Questo governo si fonda su un contratto, dunque nasce da un compromesso tra due partiti diversi, su alcuni punti addirittura molto diversi".

 

E quanto può durare?
"La politica prevede divergenze e mediazioni".  

 

Ma molti parlamentari del M5s, ad esempio, sembrano in preda a un crisi bipolare. Sostengono la linea di Salvini sull'accoglienza, e poi indossano le magliette rosse.
"Credo nell'intelligenza e nella maturità dei miei colleghi in Parlamento. Spero sappiano benissimo che i patti necessitano sempre che ciascuno dei contraenti rinunci a rivendicare in toto le proprie posizioni".

 

Ma questa continua contaminazione non rischia di corrompere la vostra identità?
"Non credo. Sono contenta e al contempo sorpresa dal fatto che i nostri militanti hanno compreso la delicatezza del momento. I nostri iscritti hanno capito che la politica è necessariamente figlia della mediazione".

 

Strategie internazionali. Non pare ci siano cambiamenti di rotta, in vista.

"L'Italia deve ritrovare una sua centralità nel Mediterraneo. Possiamo e dobbiamo essere il ponte, diplomatico e politico, tra il Nord Africa e l'Europa". 

 

Anche sulla Libia, non vi discostate granché dalla linea del governo precedente.
"C'è una continuità dovuta alle circostanze in cui operiamo. Quello nordafricano è un contesto in continua evoluzione, ma per l'Italia è fondamentale essere presente in Libia e impegnarsi nel processo di instituional building che prenderà forma nei prossimi mesi e che porterà alla stabilizzazione del paese".

 

Criticavate Minniti perché cercava un dialogo con Al-Serraj. "Fa accordi con un fantasma", dicevate. Ora anche i vostri ministri lo considerano un alleato indispensabile.
"Inutile pensare a sostenere uno piuttosto che un altro: rispetteremo, semplicemente, la volontà del popolo libico. Come membri della commissione Esteri, in autunno faremo dei viaggi in Libia, e potremo studiare meglio la situazione".

 

Con Giovanni Tria i rapporti sono molto tribolati. C'è una certa insofferenza di Lega e M5s verso i tecnici esterni, quelli che Di Maio chiama "i parrucconi". Col ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, che rapporti ci sono?
Ottimi, sia a livello personale sia a livello istituzionale.

 

Le deleghe, però, neppure alla Farnesina vengono assegnate.
"E' un problema di equilibri complessivi, quello. Ma tutto lo stallo si sbloccherà presto".

Di più su questi argomenti: