Il M5s festeggia davanti alla Camera l'approvazione della delibera sui vitalizi (foto LaPresse)

Un giusto vaffa agli anticasta

Claudio Cerasa

La battaglia sui vitalizi è lo specchio di un paese schiavo della cultura antipolitica. Perché non può esistere una nazione matura senza un’élite legittimata a guidare una nazione, a creare ricchezza e a cucinare le torte. La grande lezione di Macron

Si vous voulez partager le gâteau, vous devez avoir un gâteau”. Se in Italia ci fosse davvero un anti Beppe Grillo ieri non ci avrebbe pensato due minuti a definire la pagliacciata andata in onda alla Camera sulla riforma dei vitalizi con una formula semplice e immediata, sintetizzabile in tre parole di facile comprensione: vaffa agli anticasta.

 

Un anti Beppe Grillo ancora non esiste ma per capire perché i parlamentari che ieri hanno festeggiato “l’abolizione dei vitalizi” (per quelli in carica sono già stati aboliti nel 2012) lanciando in aria palloncini colorati meriterebbero di essere mandati allegramente a quel paese non bisogna perdersi nei dettagli della riforma, ma bisogna concentrarsi sulla sostanza dell’accaduto: su cosa significhi in questo momento storico non fare di tutto per combattere contro l’invidia sociale alimentata da coloro che in nome della battaglia contro le élite ogni giorno tentano di uccidere a colpi di retorica, di tweet e di riforme demagogiche il diritto a esercitare il mestiere della politica e il diritto a difendere i valori non negoziabili di una sana democrazia rappresentativa.

 

A volersi concentrare sui dettagli si potrebbe dire che aggredire il principio dell’indennità parlamentare (le indennità percepite dagli ex deputati saranno ricalcolate con metodo contributivo) significa voler aggredire il principio che ai parlamentari debba essere data la possibilità di esercitare il mandato ricevuto senza vincoli, in assoluta libertà e autonomia di giudizio, mossi dall’idea che il privilegio parlamentare non sia un muro da abbattere ma – come da celebre definizione di Erskine May, storico costituzionalista inglese – sia “la somma dei diritti di cui dispongono collettivamente ciascuna Camera e individualmente ciascun parlamentare per essere in condizione di esercitare le loro funzioni” (e il problema della legge non è che sia tarata solo sui deputati, e non sui senatori, ma semmai che sia irragionevole, retroattiva e probabilmente incostituzionale).

 

Ma concentrarsi solo sui dettagli rischia di farci perdere il senso della questione e per provare a mettere a fuoco un approccio diverso rispetto a quello italiano relativo al tema del rapporto tra popolo ed élite dobbiamo uscire dai confini del nostro paese, arrivare in Francia e riavvolgere il nastro a lunedì scorso, e riascoltare un formidabile passaggio consegnato dal presidente Emmanuel Macron ai parlamentari francesi, in una sala lussuosa del Palazzo reale di Versailles, in mezzo a due file di splendenti guardie piumate in uniformi rosse. Macron non parlava di vitalizi, ma parlava di business: difendeva la flessibilità contenuta nella riforma del mercato del lavoro, la scelta di aver alleggerito alcuni oneri fiscali per i ricchi, l’idea di voler dare un sostegno a chi produce ricchezza non per favorire i ricchi ma per favorire il paese. “Non mi piacciono le caste o i privilegi ma credo che la creazione di ricchezza sia la pietra fondamentale dell’equità”. In sintesi: “Si vous voulez partager le gâteau, vous devez avoir un gâteau”. “Se vuoi condividere la torta, devi avere una torta”.

 

In Italia, abbiamo una classe politica che ha scelto di trasformare la lotta contro le élite in una nuova ragione di stato e che non si rende conto di come la lotta contro il privilegio in politica, perfetta condensazione del diffuso spirito antiparlamentare, rappresenti lo stadio finale di una più grande guerra contro la democrazia rappresentativa cominciata anni fa con l’annientamento dei partiti per via giudiziaria. In Francia, al contrario, vi è una classe politica che ha scelto tra mille problemi di trasformare la difesa delle élite in una nuova ragione di stato, sapendo perfettamente che non può esistere una nazione matura se quella nazione non trasferisce alle élite il compito di guidare un paese, di creare ricchezza e di cucinare le torte. In Francia, la classe dirigente ha scelto di dirigere il proprio paese. In Italia, la classe dirigente ha scelto di digerire ciò che accadeva nel proprio paese. In Francia, le élite governano per il popolo. In Italia, il popolo deve governare contro le élite. In un paese normale, oggi, di fronte alla pagliacciata dei vitalizi (anche il Pd, come FdI, ha votato con Lega e M5s) ci sarebbe un’opinione pubblica pronta a spiegare che cosa rischia un paese a soffiare sull’invidia sociale e ad alimentare l’anti parlamentarismo. Ma in un paese in cui è stata la classe dirigente a cucinare la torta ai populisti al massimo oggi troverete qualcuno che andrà a rimproverare ai populisti di non essere stati coraggiosi come avrebbero potuto. Giù il sipario.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.