Matthew Flinders, professore all’Università di Sheffield in un Ted Talk

Come essere politici mainstream senza diventare populisti

David Allegranti

Il politologo Matthew Flinders ci spiega perché “a un certo punto soffriremo di stanchezza populista”

Roma. Nella gara a chi è più populista, a Matteo Salvini tocca l’immigrazione, a Luigi Di Maio i “privilegi rubati” dei politici. Il M5s se la prende con i vitalizi degli ex parlamentari, vuole tagliarli, ma come osservava Clemente Mastella sul Foglio qualche giorno fa, “perché non dimezzano lo stipendio ai parlamentari di oggi anziché tagliare le entrate alle vedove e a poveri cristi che magari hanno fatto un mutuo? Perché poi non saprebbero come dare 300 euro al mese alla Casaleggio”. Viene da chiedersi, con il clima che c’è, se fare politica abbia ancora un valore. D’altronde tutto viene messo in discussione: la retribuzione, le pensioni, persino le competenze (Carlo Sibilia, quello che crede che l’allunaggio sia un complotto, sottosegretario all’Interno, ma che davvero?). E viene da chiedersi appunto se non abbia ragione Tom Nichols quando scrive nei suoi libri che la preparazione “è morta”.

  

Matthew Flinders, professore all’Università di Sheffield e presidente dell’Associazione di studi politici del Regno Unito, autore di “In difesa della politica. Perché credere nella democrazia oggi” (Mulino), spiega al Foglio che “sì, essere un politico ha ancora un valore. A volte è un compito ingrato – in genere è molto più difficile di quanto la maggior parte delle persone capisca – ma in qualche modo puoi contribuire a plasmare la comunità e fare la differenza. Questo potrebbe sembrare idealistico e non c’è dubbio che la politica sia caotica, ma il punto è che qualsiasi società avrà bisogno di persone che prendono decisioni e che facciano scelte difficili. La competenza non è morta. Gli esperti sono ancora richiesti ma difficilmente possono dare risposte semplici a problemi complessi o risolvere dibattiti morali in cui esistono punti di vista opposti. Quindi qualsiasi politico dovrà ascoltare i consigli degli esperti, ma poi dovrà decidere quale sia la linea migliore da prendere. I politici lavorano generalmente con un’informazione imperfetta e risorse limitate – per questo è una professione così dura e terrena”. Certamente, aggiunge Flinders, al netto di questa durezza e di tutte le difficoltà possibili, “i politici devono capire che sono al servizio del popolo e che qualsiasi ‘status’ ricevuto viene donato dal pubblico e può essere revocato. Il grosso problema in Italia è che i parlamentari italiani sono da tempo molto ben pagati, specie se paragonati alla media nazionale. Davvero un parlamentare italiano vale il doppio di uno olandese o inglese? I soldi contano; contano perché non vuoi che le persone scelgano una carriera politica ‘per i soldi’ e perché hai bisogno di assicurare che i politici rimangano a contatto con le persone che rappresentano. Questo non significa che i politici debbano vivere sulla soglia di povertà; significa che ci dovrebbe essere una sorta di relazione tra gli stipendi della politica e gli stipendi pubblici. La paga dei parlamentari è un eterno tema di discussione ed è molto facile per i populisti stimolare la gente su questo argomento. Non si tratta solo della retribuzione, ma anche delle pensioni e se ai parlamentari sia consentito accettare ‘guadagni aggiuntivi’ (ad esempio dagli affari, dalle trasmissioni, ecc)”.

  

Negli ultimi mesi, in Italia ma anche in Inghilterra, i progressisti hanno inseguito i populisti sul loro terreno di gioco. George Lakoff da qualche parte è sicuramente lì che ridacchia. “E’ un errore strategico inseguire i populisti – dice Flinders al Foglio – e penso che Jeremy Corbyn abbia praticamente commesso questo errore alle ultime elezioni inglesi. Attaccare i politici è un po’ come sparare ai pesci in un acquario, troppo facile”. Il problema è che la caccia dei populisti si porta dietro conseguenze sul lungo periodo. Il punto è proprio questo, sottolinea il politologo inglese: “Penso che a un certo punto soffriremo di stanchezza populista e questo è il grosso problema di cui nessuno parla: che cosa succede quando i populisti falliscono e non resistono alle loro promesse pre-elettorali? Forse la politica non è così facile e la risposta non è liberarsi di ‘quei politici’ o dell’‘establishment’? Le persone cadono nelle trappole dei populisti perché: 1) molti di loro hanno sofferto per colpa di un mercato sempre più globalizzato e aggressivo nel quale i vincitori vincono ma la maggior parte delle persone sentono di star perdendo e la loro posizione economica è sempre più precaria; 2) i populisti arrivano e propongono soluzioni semplici. Aspettiamo il contraccolpo anti-populista… Dove andranno allora i democratici delusi?”.

  

E quale potrebbe essere la risposta per sanare il duello fra élite e pubblico, ammesso che non sia solo una truffa lessicale? “C’è un grande scontro tra pubblico ed élite. Non sono sicuro che queste ultime coincidano con l’‘establishment’ ma è chiaro che c’è una disconnessione tra la classe politica e ampi settori dell’opinione pubblica, specie tra chi è stato lasciato indietro in Inghilterra e chi vive nelle periferie in Francia. I nomi cambiano ma il modello di base è chiaro: le società sono sempre più divise tra persone istruite, più giovani, metropolitane e relativamente soddisfatte, da una parte, e un sacco di altre persone più vecchie, meno istruite, che vivono oltre i principali sobborghi cosmopoliti e sentono che hanno poco da aspettarsi, dall’altra. Questo spiega perché la nostalgia sia diventata un sentimento così potente. Le persone guardano al passato nel tentativo di provare a reclamare un futuro”. Ecco, dice Flinders, “la grande opportunità per un politico mainstream è quella di farsi avanti e offrire una visione politica del futuro che ruoti attorno alla diminuzione dei livelli sociali ed economici di diseguaglianza. In molti modi è quello che è riuscito a fare in Francia Macron senza scivolare nel populismo. Non dice di avere soluzioni indolori ai problemi della Francia e molte delle sue riforme hanno generato grandi proteste, ma più in generale Macron incarna il ‘nuovo mainstream’, non un ‘nuovo populista anti-politici’”. Per quanto riguarda l’Unione europea, anch’essa sotto attacco dei populisti (e il prossimo anno ci sono le elezioni europee), “è stata progettata sin dall’inizio per essere una bestia democratica piuttosto superficiale, con un’enfasi più tecnocratica. Per qualche ragione, però, i politici hanno avuto difficoltà a spiegarlo al pubblico, a fargli capire in che modo le sue istituzioni (dell’Ue, ndr) siano controllate democraticamente (attraverso il Consiglio dei ministri). Si è permesso che si sviluppasse una narrativa del super stato anti democratico, e una volta che questa si è sedimentata nell’immaginario del pubblico è stato facile, per i populisti, darvi fuoco per un tornaconto personale”. Insomma, l’Ue poteva anche essere progettata meglio. In questo modo i politici delle generazioni successive non avrebbero avuto difficoltà a spiegare alla gente che non è un postaccio come lo descrivono Matteo Salvini e i suoi soci eurofobici.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.