Carlo Sibilia (foto LaPresse)

Il M5s prepara l'alleanza con Salvini. Sibilia: “Voti l'impeachment”

Valerio Valentini

Si ragiona sull'intesa col Carroccio: “Si può fare, ma va studiata”. Girotondo tra i grillini

Roma. Ci sta che sia solo una suggestione, una congettura lasciata fermentare nella rabbia che segue il giorno più tribolato della mai nata Terza Repubblica, mentre ancora lo stordimento offusca la mente. E tuttavia l’ipotesi di un’alleanza con la Lega – da definire negli esatti connotati e soprattutto nella formula lessicale più acconcia per indicarla senza scandalizzare i militanti più intransigenti – da ieri comincia a circolare, nei conciliaboli dei vari esponenti del M5s. A dirlo in modo chiaro, ci pensa Carlo Sibilia. 

 

“Alle prossime elezioni – ragiona il deputato campano – dovremmo presentarci con lo stesso programma scritto in queste settimane di trattative, e con la stessa squadra dei ministri, compreso Giuseppe Conte come premier. E riproponendo agli italiani questo stesso progetto di governo, questa stessa alleanza programmatica, chiedere di fatto un referendum tra la politica del popolo e la politica del Palazzo”. Corre un po’ troppo, forse, Sibilia, che del resto dimostra di non voler perdere tempo. “Insieme al senatore Ugo Grassi, un ordinario di Diritto civile all’Università Parthenope, sto già scrivendo – ammette – il testo da proporre al Parlamento per chiedere la messa in stato d’accusa di Sergio Mattarella”. Più cauti, al momento, i suoi colleghi. “Mi sembra prematuro parlarne ora”, commenta di sfuggita, con malcelata contrarietà, il senatore abruzzese Gianluca Vacca, esprimendo quella stessa titubanza che è pure del suo collega Andrea Cioffi (“Meglio lasciar decantare la situazione”) e del deputato Angelo Tofalo. Dal Veneto, poi, lo scetticismo è ancor più concreto. “Noi che la Lega al governo la conosciamo bene – dicono i neodeputati Alvise Maniero e Raphael Raduzzi – possiamo dire che è tutt’altro che auspicabile, un’alleanza con Salvini”. E insomma adelante, se si deve, ma con juicio.

 

Sennonché ai piani alti del Movimento, nel gruppo ristretto dei parlamentari che in queste ore hanno avuto modo di parlare con Luigi Di Maio, lasciano intendere che la reticenza sul tema, al momento, sia dettata più dalla voglia di non sbagliare i tempi per l’apertura, che non per l’incertezza sull’imminente ritorno alle urne. “Per varare una convergenza tra noi e Salvini – riflette un deputato di primissimo piano – a noi servirà un po’: ci vuole pazienza. E’ una mossa delicata, e va studiata nella forma”. A colorarla d’entusiasmo, questa prudenza, ci pensa tuttavia proprio il segretario della Lega, che dal salotto di Barbara D’Urso, seduto sulla stessa poltrona da cui pochi minuti prima ha parlato Di Maio, distilla una languidezza fin troppo sospetta, per descrivere l’intesa fiorita d’incanto nelle settimane di scrittura e riscrittura del “contratto di governo”. Un lavoro che “sicuramente non è stato inutile”, dice Salvini, quasi ad alludere a un recupero del programma per futuri accordi. “Abbiamo lavorato bene, trovando tanti punti in comune. Se poi questa diventerà un’alleanza di governo, lo vedremo nelle prossime settimane, però sicuramente siamo persone libere, oneste e non ricattabili”. D’altronde, a giudizio di Salvini “le prossime elezioni politiche saranno un referendum tra chi ha l’Italia al centro dei propri interessi e chi invece difende l’Ue, lo spread, le banche e la finanza”. Quasi in contemporanea, Gianluigi Paragone, ex direttore della Padania arruolato tra i nuovi senatori grillini, twitta così: “La battaglia sarà tra morire tedeschi o vivere da italiani”. Una consonanza, almeno nei toni, che sembrerebbe studiata. Tanto più che nei confronti dei suoi alleati naturali, Salvini spende invece parole durissime.

 

Non gli basta che Silvio Berlusconi abbia ribadito la sua opposizione al nascituro governo Cottarelli. No, Salvini lamenta gli “insulti” che a suo dire, in queste settimane difficili, gli sono stati “vomitati” addosso da esponenti di Forza Italia, e liquida con un che di vagamente minaccioso, e un “ci penserò” detto con impeto ambiguo, le domande sulla ricostituzione della coalizione di centrodestra. “Ha spaccato, ha spaccato”, esulta su WhatsApp uno dei consiglieri di Di Maio, trattenendo a stento l’entusiasmo, sforzandosi quasi di rinnovare quella certezza nei confronti dell’affidabilità del leader del Carroccio che è proprio il motivo principale del malessere che in queste ore agita il Movimento. “Ci siamo fatti portare in braccio da quella volpe di Salvini per settimane, e lui ci ha mollato quando gli è convenuto”, si lamenta un deputato grillino, spiegando che di “collettivo”, nella gestione di queste trattative, c’è ben poco. E a confermarlo, da ieri, c’è una chiusura – quella del gruppo dei consiglieri del capo – che, a sentirla raccontata da chi la osserva da vicino, è sempre più assoluta. Di Maio non ci sta a sentirsi ricevere sempre le stesse critiche: “Salvini non ha giocato sporco, ci ha provato davvero fino in fondo”, va ripetendo a chi prova a metterlo in guardia. E chissà che alla fine non abbia ragione Sibilia, nel dire che la coerenza del futuribile alleato vada misurata sulla base dei fatti. “Presentiamo la richiesta di impeachment: se lui si tira indietro, allora vuol dire che si autodefinisce responsabile”. Il che, evidentemente, per Sibilia deve essere una colpa di quelle imperdonabili.