“Lo spaccio del bestione trionfante” o lo Stato et(n)ico secondo Toninelli

Guido Vitiello

La confusione tra vita morale e fedina penale e altre ignoranze

Quando picchi alla porta di Sua Eccellenza il Sottosegretario alle Poste e Telegrafi per chiedergli un favore, non compi un atto di servilismo, compi un atto di suprema moralità. “Sappi anzi che non v’è che un sol modo di essere galantuomo: adorare lo Stato in cui s’incarna la moralità, o, come si dice oggi, lo Stato etico”. Oggi, ovvero: nel 1925, l’anno in cui Piero Gobetti, in veste di editore, stampa “Lo spaccio del bestione trionfante”, il pamphlet antigentiliano di Adriano Tilgher. Novant’anni dopo trionfano altri bestioni, e che bestioni, ma certe formule per forza d’inerzia si trascinano di bocca in bocca, fino ad approdare alla bocca di chi non ha la minima idea di ciò che dice. Il capogruppo grillino al Senato, l’onorevole Danilo Toninelli, ha detto che il Movimento cinque stelle “vuole creare uno Stato etico”. Ora, Toninelli non è propriamente Giovanni Gentile, e dietro il suo sguardo di vitrea concentrazione s’intuisce piuttosto una di quelle zone cieche dove neppure un refolo dello spirito come “pensiero che pensa” è mai giunto all’autocoscienza. Ma per il suo tramite parla il bestione, e già che il bestione trionfa faremmo bene a prenderlo sul serio.

 

Che cos’è lo Stato etico toninelliano? E’, molto banalmente, lo Stato degli onesti. E chi sono gli onesti? L’enigma non sta tanto nell’aggettivo sostantivato, quanto nell’articolo determinativo; perché qualunque significato si dia all’onestà, una cosa è essere onesti, altra cosa è essere gli onesti. Che i grillini siano onesti, può pensarlo solo chi sia così sordo alla vita morale da confonderla con la fedina penale: un movimento che ha la sua ragione sociale nella menzogna compulsiva e nello sciacallaggio sistematico ricade ovviamente al di fuori di qualunque definizione di onestà, salvo forse richiamare la terribile ironia shakespeareana dell’“onesto Iago”. Ma questo non conta, perché loro sono gli onesti, e quell’articolo cambia tutto. Quando si è, per natura o per elezione, gli onesti, ogni disonestà può essere ricondotta senza sforzo alla prima radice dell’onestà: omnia munda mundis. Poco conta che abbiano imbarcato per lo più arrivisti, maneggioni, tartufi e piccoli squadristi. Perfino un tale che si vantava in pubblico di aver picchiato ripetutamente ragazzi rumeni è riscattato dall’avere sulla fronte il diadema splendente degli onesti, il marchio del grande bestione. I mille pesi e le mille misure, i codici etici aggiornati ogni quarto d’ora per accomodarsi gesuiticamente ai casi di ciascun onesto caduto in apparente disonestà, discendono da questo inganno originario che ha una lunga storia – dal “governo degli onesti” invocato da Berlinguer al “partito degli onesti” millantato da La Malfa figlio – e che ora, con il trionfo del bestione, accede a un grado superiore, tale da dover suscitare nei democratici residui un’accresciuta allerta.

 

Non è affatto questione di morale. Marco Pannella amava ricordare che la logica del proporzionalismo aveva portato a confondere l’ethnos con l’ethos, o meglio a fare dell’ethnos un ethos, dell’appartenenza partitico-tribale il fondamento della moralità politica. Era la grande ironia della Prima Repubblica: lo Stato-partito fascista si era riprodotto per gemmazione nelle varie etnie partitocratiche accampate sulla penisola. La minaccia grillina – quella di un partito che rifiuta di esser parte tra le parti ma aspira, ideologicamente, a identificarsi con la totalità dello Stato – s’intende solo alla luce di questa autopredicazione dell’onestà. Gli onesti, che aspiravano a esser partito o governo, oggi vogliono essere Stato in quanto onesti. Non sanno neppure loro con che fuoco scherzano, che vasi di Pandora scoperchiano, e la loro ignoranza storica non è garanzia di nulla, se non del fatto che la loro coscienza è ben poco sorvegliata, e che i demoni suscitati dal passato potranno impossessarsene senza incontrare resistenze o fastidi. Attraverso la lingua di Toninelli parla, a vanvera, lo Spirito dei tempi. Ma quando la tribù degli onesti occupa il potere, non ci attende uno Stato etico, ci attende uno Stato etnico.

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