Foto LaPresse

Le tre parole da cui passa la ribellione contro i populisti (e l'accordo Di Maio-Salvini)

Claudio Cerasa

Per capire i prossimi tre mesi della politica italiana bisogna tenere in considerazione questi tre termini: resipiscenza, bipolarismo, astensione

Per provare a capire nei prossimi mesi se, come diceva con saggezza Ennio Flaiano, la situazione politica in Italia resterà sempre grave ma non seria, e non invece sia grave sia seria, ci sono almeno tre parole d’ordine che meritano di essere analizzate nel caso in cui il tentativo di dare un senso alla XVIII legislatura dovesse essere vano. La prima parola è resipiscenza. La seconda parola è polarizzazione. La terza parola è astensione.

 

Non sappiamo ancora se Sergio Mattarella riuscirà a far nascere uno spassoso governo senza fiducia o se Matteo Salvini e Luigi Di Maio riusciranno a correre mano nella mano verso Palazzo Chigi per liberare finalmente il loro amore. Sappiamo però che la prossima campagna elettorale, quando ci sarà, potrà avere un destino diverso rispetto a quella che abbiamo visto sessanta giorni fa solo se una di queste tre condizioni verrà rispettata.

 

La prima condizione per cancellare l’orrore del 4 marzo è che una porzione di elettori del centrodestra e una porzione di elettori del Movimento 5 stelle tornino in sé, si rendano conto di quello che hanno combinato e si renda conto di aver messo il paese nelle condizioni di essere guidato da una coppia di politici intenzionati a distruggere la democrazia rappresentativa (Luigi Di Maio), intenzionati a rimettere in discussione l’appartenenza dell’Italia alla zona euro (Matteo Salvini e Beppe Grillo), intenzionati a proiettare il nostro paese in un perimetro più vicino alla Russia che alla Nato (Matteo Salvini). Resipiscenza, in altre parole, significa capire che un moderato che vota per Salvini o per Di Maio è un moderato che infila il suo voto nel cestino della politica e senza capire questo – e senza capire cioè che scegliere il volto giusto per rappresentare l’Italia non è come scegliere il volto giusto per far vincere un talent show – per quanto si possa essere ottimisti le prossime elezioni, specie se ravvicinate, potrebbero essere persino peggiori delle prime.

 

La seconda condizione da rispettare è che i partiti alternativi al fronte antisistema quando si tornerà a votare trovino un modo non solo per resistere all’onda populista ma anche per esistere. La testa dell’elettore italiano, lo sappiamo, resta al fondo una testa sostanzialmente maggioritaria e per quanto si possa essere ottimisti – e come è noto noi lo siamo – se alle prossime elezioni non fosse possibile far emergere con chiarezza una terza opzione credibile capace di rappresentare con forza l’opposizione al populismo grillino-leghista l’Italia potrebbe ritrovarsi con l’incubo che tutti sappiamo: un nuovo bipolarismo formato da una coalizione di centrodestra guidata da Matteo Salvini (si salvi chi può) e da un Luigi Di Maio (o Alessandro Di Battista: uno vale uno) a capo di un movimento pronto a spolpare ciò che resta del Pd.

 

In caso di una mancata resipiscenza, naturalmente, la lotta contro il nuovo bipolarismo potrebbe maturare con un grande appello al famoso popolo dell’astensionismo. Ma il possibile incrocio tra elezioni a luglio (non impossibile) e un sistema non maggioritario (inevitabile) che alimenta la sensazione di impotenza da parte degli elettori non sembra essere la miscela giusta per scatenare una reazione contro il pericoloso qualunquismo populista. La resipiscenza sarebbe saggia. La rivolta degli astensionisti sarebbe necessaria. La lotta contro il bipolarismo sarebbe sacrosanta. Ma in mancanza di questi tre elementi un ritorno al voto, per i partiti alternativi al populismo, potrebbe creare ulteriori problemi.

 

E alla luce di questo ragionamento chissà che alla fine l’ultimo atto della vecchia intesa tra Renzi e Berlusconi sia finalizzata non a dare la fiducia a un governo di minoranza voluto dal presidente della Repubblica ma a creare le condizioni per far nascere un governo dei populisti. Permetterebbe di non tornare al voto. Ma sopratutto permetterebbe di rimboccarsi le maniche e creare con calma, e insieme, una vera alternativa.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.